CAMP LETTERKENNY (PENNSYLVANIA) – L’ALTRA FACCIA DELLA PRIGIONIA — Lombardi nel Mondo

CAMP LETTERKENNY (PENNSYLVANIA) – L’ALTRA FACCIA DELLA PRIGIONIA

Sono parole energiche quelle raffiorano dal diario di Aldo Lorenzi, parole che racchiudono la nostalgia di casa miste all’entusiasmo di chi, in prigionia, non ha ricevuto ostilità ma un momento di confronto costruttivo con un’altra realtà. Ci si prospetta quindi un altro volto della prigionia, quella dove l’aguzzino si trasforma in compagno, quello in cui due culture hanno modo di costruire e non di abbattersi a vicenda.

PRIGIONIERI DI GUERRA ITALIANI – CAMP LETTERKENNY (CHAMBERSBURG – PENNSYLVANIA)

 

Di Ashley J. Maffina

 

Sabato 16 Giugno a Mozzecane i cittadini hanno avuto la possibilità di partecipare alla mostra fotografica tenuta a Villa Ciresola, la commemorazione di Aldo Lorenzi e di tutti i prigionieri di guerra italiani catturati durante la seconda guerra mondiale.

Il destino dei nostri soldati, in prigionia, è noto dai racconti dei nostri nonni. La maggior parte di noi ha avuto la possibilità di ascoltare le storie di quanto accadeva loro che fra lunghi silenzi aggiungevano dettagli sempre meno addolciti dagli anni trascorsi.

Comunemente prigionia è sinonimo di maltrattamenti, privazioni, torture, allontanamento dalla famiglia e dalla quotidianità.

Conosciamo bene situazioni in cui vengono impunemente lesi i diritti umani ma ora vorremmo soffermarci su un capitolo più dolce della prigionia, quello in cui il l’animo umano si mostra e davanti agli occhi non si vede il nemico, ma un possibile amico, un fratello.

Cosí Antonio Brescianini, Presidente A.M.P.I.L e lui stesso figlio di uno dei prigionieri di guerra introduce un evento che vuole essere da testimonianza della prigionia dei nostri soldati.

Sottolinea con orgoglio che questi sono momenti che riuniscono, le difficoltá dei nostri nonni hanno lasciato ad alcuni di noi un forte senso di appartenenza.

Questa è la storia che trasmette e riunisce.

La memoria di un paese è fondamentale perché un esempio per tutti noi.

Alan Perry e Flavio Conti, storici e scrittori, hanno scavato nei dossier e approfondito il tema lavorando a stretto contatto con gli archivi Vaticani e di Washington per risalire ai nomi dei prigionieri di Camp Letterkenny, ne hanno tratto dei libri e donato l’opportunitá di contatto fra le famiglie dei prigionieri.

Il Professor Perry spiega come per risalire allo stato di prigionia dei propri famigliari una volta ci si rivolgesse alla chiesa, in questo modo hanno potuto racchiudere in un libro la storia di quei 1200 prigionieri italiani e riportare le storie di quel capitolo tanto particolare.

1944-1945 Camp Letterkenny, Pennsylvania

 

Aldo Lorenzi riporta nel suo diario tutta la sua esperienza da Lecce al Nord Africa, di come la loro vita da commilitoni fosse difficoltosa ed estenuante. Dalle temperature insopportabili alle condizioni igieniche pietose.

I soldati erano amici fra di loro, i legami creati dalla nostalgia e cementati dalla lontananza da casa.

Un giorno gli amici ritornarono soldati, erano sotto attacco e la prioritá divenne la sopravvivenza finchè il suo battaglione venne catturato dagli americani.

Tolsero loro ogni bene personale, anche le foto, unico conforto cosí lontani dalle loro famiglie. Arrivati negli Stati Uniti, all’interno di Camp Letterkenny scoprirono un tipo di prigionia ben lontano da quel che erano sicuri avrebbero dovuto affrontare.

I prigionieri italiani venivano trattati bene, come i soldati americani.

Cibo, igiene, umanitá, tutto contornato da uno stile di vita ben piú elevato di quello presente in Italia negli stessi anni.

Gli italiani erano bensí prigionieri ma quello americano era uno sfruttamento mirato e una strategia per cementare i rapporti fra le due culture.

In realtá gli americani li prepararono ad entrare in una democrazia, facendo spazio a quella che poteva essere una collaborazione. In Pennsylvania, gli italiani non furono maltrattati bensí integrati, talmente bene che molti di loro alla fine della guerra restarono negli States e fecero famiglia.

Quella di Camp Letterkenny fu una prigionia speciale.

Commenta Don Pietro che a 85 anni si definisce un ragazzino.

Aldo Lorenzi era divenuto sacrestano della chiesa che i prigionieri italiani avevano avuto la possibilità di costruire sul suolo americano,in puro stile italiano. Fu nominata “La chiesa della pace”, in nome della fine della guerra in Europa.

Quando la guerra finì le campane di quella chiesa suonarono e suonarono, con le lacrime agli occhi e ricolmi di vita i prigionieri sarebbero potuti rientrare in patria.

Sono stati trattati bene, gli americani gli hanno voluto bene. Specificano i figli dei prigionieri, quelli che sono intervenuti all’evento, a dimostrazione che la guerra ci allontana e ci unisce contemporaneamente, perché la guerra parte dall’alto ma i soldati che si affrontano sono uomini, persone come noi che riescono a creare legami nonostante le circostanze.

Keti Melotto, la nipote di Aldo ci descrive suo nonno come una persona sempre sorridente, un uomo che ha sempre vissuto per la comunità e la chiesa.

Finchè sei bambino sottovaluti quanto ti vien raccontato, crescendo poi capisci quanto loro abbiano passato, l’esperienza della guerra per chi la vive è distruttiva.

Il nonno raccontava ai nipoti i suoi anni in america e del trattamento umano che avevano ricevuto. Inconsapevolmente Aldo ha trasmesso ai suoi nipoti dei valori intrinsechi, crescendoli con una mentalità aperta verso il mondo in un periodo in cui risulta più facile chiudere le porte che non tenerle aperte.

Il Sindaco Piccinini ci tiene che questi progetti arrivino ai ragazzi e coinvolgano il più possibile la scuole e i cittadini. I ragazzi delle medie di Mozzecane sono stati coinvolti in diversi progetti di cittadinanza attiva dall’alto valore morale, nei quali si sono distinti vincendo un premio a livello regionale sul tema della Grande Guerra

Tutto questo serve a tener viva la memoria perchè è importante far conoscere alle nuove generazioni l’importanza della partecipazione e dell’integrazione, a prescindere dalla cultura d’origine di ciascun abitante.

Il coinvolgimento multietnico e pluri-culturale ci porta a condividere le radici e a renderci cittadini attivi.

L’evento per di più è stato sì sovvenzionato dal comune ma ha visto economicamente partecipi anche le famiglie di Mozzecane che hanno permesso tutto ciò.

Perchè nei piccoli comuni i primi a mobilitarsi per dare vita agli eventi sono i Sindaci che, affiancati dai propri cittadini, riescono in imprese che per comuni più grandi sarebbero di più facile gestione.

Un’icona della madonna è stata donata al custode della chiesa di Letterkenny, in memoria di questo singolare capitolo di prigionia.

I nipoti vogliono capire i valori dei propri nonni e conoscere quindi le proprie origini; la storia la si può leggere nei libri ma le emozioni, quelle si scambiano a quattrocchi quando ci si incontra come in questi eventi.

Ci auguriamo che tutti i figli/nipoti dei soldati che hanno vissuto questo pezzo di storia possano ritrovarsi per condividere la propria esperienza; per tutti coloro che fossero collegati al Camp Letterkenny consigliamo il contatto con il Presidente Brescianini ai seguenti indirizzi:

Facebook : Gli Italiani di Letterkenny ampil

www.ampil.it

Per chi invece fosse interessato ad approfondire l’argomento lasciamo i titoli dei libri di testo che trattano dell’argomento.

 

1.I prigionieri italiani negli Stati Uniti, Bologna, Il Mulino, Flavio Giovanni Conti (2012).

2. Italian Prisoners of War in Pennsylvania, Allies on the Home Front, 1944-1945, Madison e Teaneck, Fairleigh Dickinson University Press, Flavio Giovanni Conti, Alan R. Perry (2016).

3.World War II Italian Prisoners of War in Chambersburg, Mount Pleasant, Arcadia Publishing, Flavio Giovanni Conti, Alan R. Perry (2017).

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