Argentina: le ragioni di una crisi — Lombardi nel Mondo

Argentina: le ragioni di una crisi

Come una nazione ricca può essere alla fame. Il paradosso dell’Argentina

l’Argentina ha conosciuto nei primi anni del nuovo millennio una crisi economica che l’ ha portata ad una vera e propria emergenza alimentare con conseguenti proteste e manifestazioni che hanno trovato molta risonanaza nel mondo intero. In effetti parlare di crisi alimentare in un paese che per tanto tempo è stato considerato il granaio del mondo può sembrare veramente paradossale. Agli inizi del ventesimo secolo l’Argentina insieme con gli altri paesi sudamericani copriva gran parte del fabbisogno mondiale di caffè, di carne, di nitrati, di banane, di zucchero, di cacao, di mais. La ricchezza che derivava da tale florido commercio attirò famosi architetti che ridisegnarono le grandi città, crearono ampi viali, prestigiosi teatri, edifici caratteristici dando al paese un aspetto analogo alle capitali europee, al punto che venne definita la “ Parigi del sudamerica”. Tutto apparentemente concorreva a fare dell’Argentina un paese ricco e privilegiato: la presenza di grandi risorse naturali, in cui il clima consente di coltivare qualsiasi prodotto, un eccellente rapporto tra il territorio e gli abitanti e nonostante tutto questo ha conosciuto drammatiche crisi che l’ha condotta in una situazione di profonda sofferenza e di grandi tensioni sociali. Quali le cause? Molte e complesse e qui cercheremo di esaminarle in modo sommario. Cominciamo con l’agricoltura. Uno dei grandi errori di programmazione si sono avuti con la ripartizione degli abitanti che non è omogenea ma che vede una concentrazione anomala di persone in alcune grandi città. La coltivazione del terreno si è concentrata nelle mani di pochi capitalisti ed alla ricchezza di questi non ha corrisposta un analogo miglioramento della popolazione. Negli anni successivi alla seconda guerra mondiale l’economia si è basata essenzialmente sull’esportazione di materie prime, ma queste non bastano a creare la prosperità di un grande paese se, come in questo caso, hanno un basso valore aggiunto. Tuttavia l’abbondanza di prodotti naturali hanno fatto sì che alle grandi migrazioni di popolazioni da altri continenti sia subentrata la speculazione da parte di molte società straniere che si sono mosse in una logica quasi di saccheggio e di rapina. Grandi guadagni ed utili non sono stati reinvestiti nei mercati locali, ma confluiti all’estero oppure nelle banche locali con tassi di interesse altissimi. Certamente non furono estranee alle condizioni drammatiche in cui si è venuta a trovare una larga fetta della popolazione, le gravi vicende politiche come la dittatura militare degli anni settanta che ha puntato su una visione ultra liberista, inevitabilmente in urto contro la mancanza di una adeguata condizione economica giungendo allo smantellamento dell’apparato industriale. Il ripristino della democrazia ha visto un grande incremento del debito pubblico a seguito della decisione della giunta militare di nazionalizzare il debito privato contratto dalle imprese e dalle banche straniere in Argentina. Una parziale ripresa della produttività per alcuni anni creò l’illusione di un possibile rilancio, ma l’aggancio della moneta locale con il dollaro, che pure ridusse l’inflazione e stabilizzò i costi al prezzo di un forte incremento del debito pubblico e di un indebolimento

dell’economia del paese per cui l’ancoraggio al dollaro anziché uno strumento di sviluppo si è dimostrato un vero cappio al collo. La globalizzazione ha rappresentato una sfida che l’Argentina non ha saputo cogliere e mentre si è aperta all’esterno non ha saputo rilanciare la produttività interna né effettuare investimenti pubblici nei servizi essenziali. Le tappe della grande crisi argentina risalgono indietro nel tempo ma vi sono alcune date significative come il 1991 in cui si decise di equiparare il peso argentino al dollaro statunitense, decisione catastrofica che portò ad un tasso di disoccupazione del 20%. La successiva cervellottica decisione di nazionalizzare il debito privato ha comportato la lievitazione di quello pubblico fino a 140 milioni di dollari. La gravità della situazione spinse nel 2000 il Presidente Fernando de La Rua a incaricare un personaggio già invischiato nella precedente dittatura militare, Domingo Cavallo, con amplissimi poteri per cercare di venire a capo della crisi. I risultati tuttavia non furono felici in quanto la crescita del PIL fu bassissima, l’inflazione assai sostenuta mentre gli investimenti diminuivano a causa degli interessi bancari elevati e dal clima di sfiducia che regnava nel paese. Alla fine del 2001 si ebbero le dimissioni del Presidente De La Rua, a seguito di proteste e sommosse con disordini che causarono la morte di 32 persone. Nel febbraio 2002 si tornò alla libera fluttuazione della moneta, provvedimento che avrebbe dovuto essere applicato da molto tempo. Venne finalmente varato un piano di risanamento per altro destinato a privilegiare il mondo della finanza anziché il sistema produttivo. L’effetto perverso di una serie di macroscopici errori, è stato il lievitare del debito estero che ha caratteristiche diverse da quelle che normalmente si riscontrano nei paesi poveri in quanto è stato determinato soprattutto dalla fuga di capitali, e dalla sfiducia degli argentini nel loro governo. Un ulteriore elemento che ha aggravato la situazione venne rappresentato dalla vasta sottoscrizione internazionale di bond argentini che attirarono molti risparmiatori che dimenticavano il piccolo particolare che gli alti rendimenti promessi erano dovuti all’elevato rischio per cui neppure lo scudo statale poteva garantire totale protezione.

Non tutti gli argentini si sono fatti sorprendere dalla crisi. Molti di loro hanno comperato, quando era ancora possibile, dollari e a questa corsa il governo ha fatto fronte stabilendo un tetto di 500 dollari a testa. Un metodo apparentemente difficile da superare, ma risolto brillantemente da parte di alcuni operatori particolarmente spregiudicati assoldando per pochi spiccioli disoccupati da inviare nelle banche o a cambiare soldi per le strade. E’ apparsa anche una nuova forma di commercio: il baratto di merci e servizi. Molte attività sono cessate, ma i negozi delle grandi firme hanno potuto sopravvivere grazie anche ad un cambio molto favorevole del peso sul dollaro. Chi pagò lo scotto più alto della crisi fu la classe media che ha rischiò di sparire. Le università gratuite si riempirono di disoccupati che studiavano in attesa di tempi migliori mentre nella notte centinaia di persone frugavano nei rifiuti in cerca di quanto poteva essere riutilizzato. La gravità della situazione che si venne a creare in quei primi anni del nuovo millennio è evidenziata da un dato: alla scadenza di un debitodi 805 milioni di dollari l’Argentina ha rimborsò alla Banca Mondiale 79 milioni, solo una parte degli interessi. Per i poveri ed i disperati vi era spesso solo la mendicità e la solidarietà delle associazione benefiche.

Solo alla fine del 2002 si s poterono riscontrare i primi segni di un mutamento dellao stato di cose. Si è riscontrato per la prima volta un aumento della produzione industriale del 2%, si è avuta una ripresa delle esportazioni, il cambio di 3,5 pesos per un dollaro si è dimostrato stabile e anche la temuta superinflazione non si è manifestata. La strada delle ripresa è lunga, la povertà diffusa, un produzione record di soja ha posto l’Argentina al terzo posto della produzione mpondiale del prodotto, ma tutto questo non ha cambiato molto le condizioni di povertà di una metà circa della popolazione.

 

Sandro Saccani

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