9 giorni a Mogadiscio (8-17 Settembre 2009) — Lombardi nel Mondo

9 giorni a Mogadiscio (8-17 Settembre 2009)

Reportage di Ugo Borga, Matteo Fagotto e Giampaolo Musumeci Reportage pubblicato su Witness Journal 28

C’è un solo posto sicuro, a Mogadiscio. Yusuf, 16 anni, l’ha raggiunto all’alba sul dorso di un mulo. Sua madre ha bussato alla pesante cancellata di ferro. S’è aperta una feritoia. Poi qualcuno, dall’altra parte, ha fatto segno con il kalashnikov di lasciarli entrare. Due donne con il velo bianco l’hanno raggiunto di corsa. Una l’ha aiutato a scendere, l’altra gli ha infilato uno straccio in bocca. Perché quando ti sparano in pancia fai una fatica del diavolo a smettere di gridare. Il Madina hospital è il solo ospedale in Somalia, in cui Yusuf ha qualche speranza di essere salvato.

Alla sua porta bussano in media 150 feriti d’arma da fuoco al giorno. Manca tutto, ma le milizie che da vent’anni combattono questa sanguinosa guerra civile ne rispettano la neutralità: qui si cura chiunque, a qualsiasi fazione appartenga.Fuori da queste mura, la tua vita non vale la sabbia in cui sarai seppellito

 

TFG (Transitional Federal Government)

Il governo di transizione somalo, guidato dal presidente Sheik Sharif, ex leader delle corti islamiche, esponente del clan Abgal, controlla ben poca parte della città. L’attentato del giugno scorso, in cui ha perso la vita il ministro della sicurezza Omar Hashi, ha determinato l’uscita dalla compagine governativa delle sue milizie che costituivano la colonna portante della capacità militare del TFG, già compromessa dalla defezione dei circa 4000 mercenari Darwishi, originari del Puntland, dell’ex presidente del TFG Abdullahi Yusuf . Per far fronte al pericolo determinato dalle milizie fondamentaliste Al Shabaab e Hizbul Islam, il presidente Sheik Sharif ha richiesto l’appoggio di alcuni pericolosi warlords e capi clan Abgal come Musa Sudi Yalahow, Mohamed Omar Habeeb “Dhere” e Mahamud Mohamed “Finish”, alle quali si sono poi aggiunte le milizie Hawiye-Abr Ghedir di Yusuf “Indhadde”, ministro della difesa al tempo delle corti islamiche, ex padrone della regione del basso scebeli, destituito nel 2008 da Al Shabaab e da allora nemico giurato delle milizie fondamentaliste.

Se da una parte l’ingresso delle milizie Abgal-Habr Ghedir ha ricostituito la capacità militare del TFG, almeno da un punto di vista numerico, di fatto ha reso impossibile il controllo del paese da parte delle istituzioni, sostenute da milizie autonome che rispondono del loro operato direttamente ai capi clan. L’offensiva scatenata nel maggio scorso dalle milizie fondamentaliste ha reso evidente la scarsa capacità militare dell’alleanza governativa: solo l’intervento dei militari ugandesi e burundesi dell’Amisom (caschi verdi dell’U.A) e robuste iniezioni di armi dagli stati uniti, distribuite alle forze del TFG tramite l’Amisom stessa, ha permesso di bloccare l’avanzata degli insorgenti a meno di un chilometro da villa Somalia, sede delle istituzioni governative.

“Il governo controlla 16 distretti su 19 del paese. Mogadiscio, a parte alcune sacche di resistenza, è ora sotto controllo delle istituzioni del TFG. Stiamo lavorando alla ricostituzione della marina militare, in modo da riprendere il controllo delle acque territoriali ed eliminare il gravissimo problema dei pirati”. L’intervista si interrompe pochi minuti dopo le dichiarazioni sorprendenti del ministro della sicurezza Abdullahi Mohamed Ali. Una decina di colpi di mortaio si abbattono in rapida successione nelle vicinanze di villa somalia e su Maka Marrama road. Le milizie insorgenti non dispongono di artiglieria pesante, e non sono in grado, stando a quanto ci viene assicurato dai vertici militari, di minacciare seriamente l’aeroporto, e il porto, controllati dalle forze dell’ unione africana. Certo è che combattimenti esplodono improvvisi in ogni angolo della città. Dalle sei del pomeriggio in poi, chiunque percorra i vicoli sabbiosi della capitale viene immediatamente abbattuto. Centinaia di cecchini delle milizie tfg e dell’Amisom, appostati sui tetti e nelle orbite vuote dei palazzi, sparano a qualsiasi cosa si muova. Animali compresi.

Lo stato maggiore della costituente Marina Militare Somala ci riceve in una stanza semibuia, a ridosso della linea del fronte. Una trentina di miliziani difende quel che resta della sede dell’ammiragliato. Gli occhi liquidi per il khat, indossano i cappelli rossi del Real Madrid, per

riconoscersi e non spararsi addosso. Non esistono divise ufficiali: questa guerra si combatte con gli infradito e il kalashnikov. “ Dobbiamo individuare le basi costiere dei pirati. E distruggerle”, ci spiega l’ammiraglio. “Se disponessimo del cinque per cento della flotta internazionale che oggi pattuglia le acque somale, avremmo eliminato il problema da tempo. Ma abbiamo bisogno di aiuto: servono uomini, armi, computer. Soprattutto servono le navi. Dove sono le nostre? Non sappiamo.

Rubate…”

Nel piazzale sabbioso, sovrastato da quel che resta di due torri di segnalazione, 500 giovani marinai, addestrati a Gibuti, giurano fedeltà al loro paese. La linea del fronte con le milizie insorgenti inizia qui. L’abbaiare dei kalashnikov si alterna ai tiri di mortaio diretti al porto. Chi si occupa della nostra sicurezza giudica pericolosa la nostra posizione, troppo esposta e in campo aperto. Siamo appena saliti in macchina quando un miliziano arma un lanciarazzi spallabile e mira a qualcosa al di là di un

muro. Qualcuno non è d’accordo. La sparatoria tra miliziani del governo scompagina le file dei marinai, che si danno alla fuga verso il mare. Sopravvivere, a Mogadiscio, è solo questione di fortuna.

 

11 Settembre, ore 23.37

Il primo di una lunga serie di tiri di mortaio colpisce l’ospedale Martini di Mogadiscio. 15 i morti, decine i feriti. Il secondo raggiunge le carceri, poco distanti. 3 morti, cinque feriti. Tiri di aggiustamento, in gergo. Le milizie Al Shabaab stanno cercando di colpire il porto. Una nave militare, di cui non siamo riusciti a scoprire la nazionalità, sta scaricando armi per le forze dell U.A e del TFG. I sudari delle vittime dell’ospedale martini, adagiati su brande arrugginite, sono avvolti dal fumo dell’incenso. Il nuovo ingresso di Sheikh Ali “ Dhere” nella leadership Al Shabaab e di Sheik Hassan Dahir Aweys alla presidenza di Hizbul Islam, sembra aver ulteriormente radicalizzato la posizione delle milizie fondamentaliste. Entrambe appartengono al clan guerriero degli Habr Gedir, lo stesso di Mohamed Farah Aidid. Considerato dai cittadini di Mogadiscio come un clan costituito principalmente da pastori guerrieri, poco o nulla emancipati, costituisce l’ossatura della forza militare dei “giovani”. Per quanto questo cambio al vertice renda potenzialmente possibile una fusione dei due gruppi estremisti, i contrasti tra le due fazioni sono tali, al momento, da rendere molto improbabile che questo avvenga.

I “giovani” combattono per la creazione di uno stato fondamentalista, che prevede l’applicazione stretta della sharia, molto simile al modello perseguito dai Talebani in Afghanistan. Nessuno può stabilire con certezza, ad oggi, se Al Shabaab sia legato ad Al Quaeda o sia un fenomeno somalo. Esistono però alcuni elementi a favore della tesi quaedista che non possono essere ignorati.

Tutte le fonti somale da noi contattate, facenti parte o meno del TFG, sostengono che gli insorgenti sono direttamente finanziati e supportati, in uomini e armi, da Al Quaeda. Combattenti stranieri, con passaporto afghano, pakistano e yemenita, ma anche inglese e statunitense, combattono a Mogadiscio tra le fila dei “giovani”. Il recente attentato suicida al compound Amisom di Mogadiscio sembra confermare definitivamente, per implicita ammissione dei vertici Al Shabaab, questa ipotesi. La rivendicazione parla infatti di una vendetta per l’uccisione, nel corso di un blitz statunitense in Somalia, del terrorista quedista nabhen, responsabile dell’attentato del 2002 all’albergo israeliano di Mombasa. Il modus operandi dei miliziani fondamentalisti, in campo militare, è tipico di Al Quaeda.

Difficile fare previsioni sul futuro di Mogadiscio e della Somalia. Le istituzioni poggiano su alleanze claniche precarie, e soffrono per la mancanza di una lucida interpretazione della situazione. L’unione africana, dopo il duro colpo subito, ha radicalizzato nel corso delle ultime settimane i propri interventi, facendo almeno in un caso ricorso all’artiglieria pesante, con conseguenze drammatiche per i civili. Milizie indipendenti agli ordini di free lance del crimine operano nella capitale, e nessuno sembra in grado di controllarle. E’molto probabile che la Somalia, abbandonata a se stessa, sia divenuta il nuovo hub del terrorismo islamico internazionale.

 

Intervista a Sheik Mohamed Sheik Yusuf

A parlare è Sheik Mohamed Sheik Yusuf, portavoce con ogni probabilità, del primo gruppo sufi combattente che la storia ricordi. Ahlu Sunna wal Jama’a è un movimento islamico moderato, nato negli anni novanta dalla fusione di alcune confraternite sufi come Ahmadiyya e Qadiriyya. I sufi appartengono a una rete internazionale di mistici religiosi, la cui attività è essenzialmente la pratica e la diffusione della parola del profeta.

-Come e perché questo gruppo religioso ha deciso di imbracciare le armi?

S.Y: Nel nostro paese operano organizzazioni fondamentaliste straniere con diversi scopi, primo tra i quali la creazione di uno stato islamico fondamentalista in Somalia. Queste milizie considerano gli islamici moderati dei traditori della parola del profeta, mentre sono essi stessi a male interpretare il corano. Hanno bruciato le nostre case, profanato le nostre tombe, ucciso i nostri fedeli. Abbiamo deciso di combattere per difendere le nostre vite, la nostra libertà religiosa. Questa non è una guerra civile. Il fondamentalismo islamico è un elemento estraneo alla cultura somala. Le forze militari di cui disponiamo sono particolarmente attive nella regione del Galmudug.

– Come avvengono gli arruolamenti, dove si trovano i campi di addestramento delle milizie di Ahlu Sunna, chi fornisce le armi al gruppo?

S.Y: Gli arruolamenti avvengono su base volontaria nelle Madare, le scuole coraniche, tra i fedeli. Nessuno è costretto ad arruolarsi con la forza. Non accettiamo candidature da minori di 18 anni. Non possiamo rivelare la posizione dei nostri campi di addestramento, ma molto presto vi permetteremo di visitarli. Per ragioni di sicurezza, non siamo disposti a rispondere all’ultima domanda.

– In questo momento i nemici del Tfg sono i vostri nemici. Il sostegno al governo di transizione di Sheik Sharif è determinato da circostanze contingenti o da convergenze ideologiche e politiche?

S.Y :Ahlu Sunna non combatte per scopi politici. Il nostro unico scopo è la totale cancellazione dei gruppi fondamentalisti che operano nel paese. Non ci fermeremo fino a quando questo obbiettivo non verrà raggiunto. Il nostro appoggio al governo di transizione è determinato dall’esigenza, evidente, di riportare ordine e pace nel paese, dilaniato da una guerra civile che dura da vent’anni. Appoggeremo chiunque sia promotore di un ordine sociale stabile, e della costituzione di un paese islamico moderato e democratico, indipendentemente dal clan di appartenenza.

– La vostra capacità militare attuale è comparabile a quella delle milizie fondamentalista contro cui combattete?

S.Y: Abbiamo riportato alcune vittorie che non possono definirsi decisive, ma che hanno indebolito l’influenza di Al Shabaab nella nostra area. Vorrei però aggiungere che la capacità militare non è l’unico dato su cui fare riferimento. Noi combattiamo per ragioni che il popolo somalo comprende e

in cui può identificarsi. Noi esistiamo da sempre. Il fondamentalismo islamico è un fenomeno relativamente recente, destinato a scomparire.

 

http://witness.fotoup.net/index.php?id=50

Document Actions

Share |


Condividi

Lascia un commento