Honduras: dopo l’Isola di Famosi la repressione continua — Lombardi nel Mondo

Honduras: dopo l’Isola di Famosi la repressione continua

Mentre l’Italia è stata per mesi quotidianamente informata sulle insulse vicende dell’Isola dei famosi, poco o nulla si conosce dell’effettiva realtà politica e civile dell’Honduras, uno dei paesi più poveri dell’America Latina

Mentre l’Italia è stata per mesi quotidianamente informata sulle insulse vicende dell’Isola dei famosi, poco o nulla si conosce dell’effettiva realtà politica e civile dell’Honduras, uno dei paesi più poveri dell’America Latina. L’Honduras ha il triste primato di aver ripristinato, dopo circa vent’anni di relativa tranquillità in tutto il continente, la prassi del golpe militare per rimuovere presidenti regolarmente eletti e per mettere al loro posto dittatori più o meno mascherati.

 

Eppure, dal 1982 in poi, da quando cioè era finito il regime controllato dall’esercito, l’Honduras aveva visto ogni quattro anni (ricordiamo che questa è la durata massima di un mandato presidenziale che non è rinnovabile) una certa alternanza al potere dei due principali partiti del paese: il Partito Liberale e il Partito Nazionale. Così, tra mille contraddizioni, si dipanò la vita politica honduregna, segnata comunque da influssi militari esterni, fallimentari riforme economiche di stampo liberista, corruzione dilagante, povertà diffusa e oligarchie intercambiabili.

 

In questa situazione abbastanza sedimentata, il 28 giugno 2009, nella sorpresa generale, l’esercito arresta il presidente liberale Manuel Zelaya e lo porta, in pigiama, nel vicino Costa Rica. È la “Pijamazo”, definizione ironica e picaresca degna della Repubblica delle banane, ma che nasconde un colpo di Stato in piena regola come non se ne vedevano da tempo a quelle latitudini. Mentre infatti il Congresso dell’Honduras decretava lo stato di assedio, le organizzazioni regionali e internazionali, dopo inutili tentativi di mediazione, isolavano il paese: l’Osa (Organizzazione Stati americani)estromise l’Honduras dai membri aderenti, l’Unione Europea tagliò gli aiuti, gli Stati Uniti ruppero i rapporti diplomatici e il Fondo Monetario Internazionale decretò un embargo.

 

Nel frattempo, dopo goffi e falliti tentativi di Zelaya di ritornare in patria, il dittatore “ad interim” Micheletti (figlio di emigrati bergamaschi) dava via libera, non curante di ogni pressione, alla rimozione formale del presidente e all’indizione di nuove elezioni. Esse si celebrarono il 29 novembre, a cinque mesi dal golpe: un tempo breve ma sufficiente per fare invertire la rotta agli Stati Uniti e ai paesi limitrofi che, tra vari distinguo, finirono per accettare la nuova situazione. Le elezioni sono vinte da Porfirio Lobo Sosa del Partito Nazionale: il giorno del suo insediamento, mentre l’opposizione inscenava una grande manifestazione di piazza, il 27 gennaio 2010, Lobo concedeva un salvacondotto all’ex-presidente e promosse una Commissione per la Verità e la Riconciliazione, volta a investigare la vicenda del golpe e a sanare definitivamente lo strappo.

 

In poche settimane il quadro delle relazioni internazionali viene ricostruito e tutto sembra essere tornato al punto di partenza: Lobo viene riconosciuto come legittimo presidente dagli Stati Uniti e dall’Unione Europea e l’Honduras riabilitato da quasi tutti i paesi sudamericani (tranne quelli governati dalla sinistra, a cominciare dal Venezuela di Chavez) ma non dall’OSA che è ferma sulla richiesta del ritorno di Zelaya nel paese. Su questo sono in corso da mesi trattative tra Lobo e il Fronte Nazionale di Resistenza Popolare, la formazione che raggruppa gli oppositori al regime e i fedeli all’ex-presidente deposto. Ma la morale della favola ci fa intravedere un altro finale: la nascita di una vera e propria dittatura repressiva.

 

Nei mesi successivi all’insediamento di Lobo si è registrata una escalation di minacce, intimidazioni, sequestri di giornalisti (impressionante la testimonianza di César Silva) e di esponenti dell’opposizione nonché di scioperi finiti quasi sempre con feriti o vittime, caduti sotto i colpi della polizia governativa. Sono più di cinquanta i morti “eccellenti” dietro la cui eliminazione si intuisce una precisa regia politica.

 

Dopo un anno dal golpe la situazione, sempre più preoccupante, cominciava ad essere oggetto dell’attenzione dell’opinione pubblica mondiale. Negli ultimi mesi lo scenario è peggiorato. Impressionante, e unico nel suo genere, è l’accanimento con cui la dittatura persegue gli insegnanti: una decina di essi sono stati assassinati ad opera di gruppi paramilitari filo-golpisti. Afferma Bertha Oliva, coordinatrice del COFADEH (un’associazione nata negli anni ’80 ma tornata ad operare ora): “Dopo il colpo militare di Stato si è avuto un netto calo del rispetto per i diritti umani. Le autorità hanno preso la decisione di assaltare le istituzioni pubbliche e di coprire le proprie azioni con menzogne”. A seguito dell’uccisione di Ilse Ivania Velasquez durante lo sciopero del 18 marzo, la società civile honduregna ha alzato il livello della denuncia.

Adesso anche le principali organizzazioni internazionali per la tutela dei diritti umani guardano con sospetto al nuovo regime che rappresenta un buco nero per tutta l’America latina che in questi anni è stata protagonista di svolte democratiche capaci di aprire grandi speranze per il futuro. Gli italiani che guardano la televisione non sanno invece nulla di tutto questo: per la Rai la storia dell’Honduras si ferma al 2002. Dopo c’è solo Simona Ventura.

 

Di Piergiorgio Cattani

Militari a Tegucigalpa durante il golpe – Foto: solleviamoci

 

Fonte: Unimondo

 

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