1939 – 1945: La resistenza di Giuseppe Barbero prete (2) — Lombardi nel Mondo

1939 – 1945: La resistenza di Giuseppe Barbero prete (2)

In questi primi giorni di marzo si è avviato presso il Tribunale di Mantova un procedimento per un processo intentato da 44 IMI, ex schiavi di Hitler, che chiedono un risarcimento per i due anni da schiavizzati trascorsi nelle fabbriche e miniere naziste. Diamo il via a una breve serie documentaria su questa ancora oscura pagina di storia e Resistenza (foto: la tomba comune dove riposano più di 50 IMI a Hagen).

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Il cappellano militare Giuseppe Barbero ci ha lasciato un toccante memoriale sulla prigionia degli IMI nel Bacino della Ruhr. Ne offriamo alcuni estratti.

La croce tra i reticolati

(vicende di prigionia)

di Barbero Giuseppe, cappellano militare

 

Ai 730 italiani

che nel cimitero di Dortmund

attendono il conforto

di una prece, di una lacrima

e di un fiore

 

Il primo giorno in cui assaporai l‘amaro calice della prigionia fu il 9 settembre 1943, e precisamente a Parga in Grecia, dove mi trovavo visitando le batterie distaccate del nostro 29° reggimento di artiglieria. Fin dalle prime ore del mattino il nostro presidio di Parga fu circondato da Ciammurioti e da Tedeschi… Il 12 settembre, dietro ordini di comandi superiori, emanati da Prevesa e Giannina, deponemmo le armi. Ci sentimmo tosto senza difesa e protezione, in balìa di orgogliosi comandanti tedeschi.

Con un leggero zaino su le spalle, una nostalgia infinita in cuore, inconsci di ciò che il futuro ci riservava, dovemmo intraprendere un lungo viaggio a piedi. Erano più di 400 km., attraverso l‘Epiro, l‘Albania e la Macedonia.

Ogni giorno era una tappa di 30, 40 km., e poi, in men che non si dica, sorgeva l‘accampamento… La maggior parte dei soldati passavano la notte sdraiati a terra; fortunato chi riusciva a trovare un po‘ di paglia.

I tedeschi fanno le loro rappresaglie: tre villaggi sono in fiamme. Terribili, purtroppo i nostri soldati, quando è loro permesso di fare razzia. L‘abbondanza penetra nel nostro accampamento: sono bufali, vitelli, galline, uova, burro, coperte, materassi… I più assennati però la pensano diversamente. Sono tristi, si guardano attorno, spingono lontano lo sguardo, fino alla Grecia, al Montenegro, alla Croazia. Ovunque vedono case bruciate, villaggi distrutti, famiglie senza tetto, migliaia di Partigiani uccisi… Arrivati a Konitza contempliamo il macabro spettacolo di Partigiani greci e albanesi impiccati e appesi agli alberi. È la visione della morte nella sua più cruda realtà…

Da ventiquattro giorni camminiamo: siamo stanchi. Finalmente il 4 ottobre giungiamo a Florina, in Macedonia, dove lunghe tradotte ci attendono. Da ogni parte a migliaia arrivano i prigionieri. Alla rinfusa vengono caricati, pigiati nei carri bestiame; 40,50, e anche 60 su ogni vagone, e fortunato chi ha la buona avventura di trovare un vagone coperto. Ben 15 giorni dovremo restare su quei carri bestiame.

Si parte, si attraversa la Bulgaria… Si attraversa la Serbia, e si entra nella ridente Ungheria… Attraversiamo l‘Austria e siamo a Vienna… Ci inoltriamo nella Selva nera e arriviamo a Linz… Di buon mattino, alle 3, un caffè surrogato… senza zucchero naturalmente, e un pane di 2 kg., ma… in 42 persone.

A Francoforte ognuno crede ormai di essere al termine di quel viaggio doloroso…

Il 19 ottobre, attraversata la Renania e la Westfalia, arrivammo nell‘Emsland… Nessun prigioniero dimenticherà mai il giorno in cui per la prima volta mise piede nei tanto famosi e infami Lager tedeschi. Erano cintati da triplice filo spinato, sovente attraversato da corrente elettrica; erano sorvegliati da decine e decine di soldati tedeschi o della S.S., armati di mitragliatrici e di fucili. La disciplina era mantenuta da marescialli e soldati che gridavano come energumeni, picchiavano come forsennati, e uccidevano i prigionieri con quella voluttà con cui si schiaccia la testa a un serpente velenoso.

Mi vennero in mente i famosi versi di Dante:

Per me si va nella città dolente

Per me si va nell‘eterno dolore

Per me si va tra la perduta gente.

Lasciate ogni speranza, voi che entrate.

Sborsando le ultime sigarette riuscii a salvare una candela, e 50 grammi di vino per la celebrazione della Messa. Appelli, contrappelli, adunate di un‘ora, di due ore al freddo, sotto la pioggia e la neve, erano il nostro pane quotidiano.

Venni a sapere che più di 7000 russi erano già morti in quel campo… Vi erano migliaia e migliaia di persone in quelle baracche, e regnava un silenzio sepolcrale.

Da Oberlagen… ci trasportarono al campo di Versen… In questo campo la vita divenne sempre più dura, in certi periodi insopportabile. Volevano ad ogni costo la nostra adesione alla repubblica. Lo spettro della fame, della vera fame… non ci abbandonò più un solo istante. Un rancio a mezzogiorno e un pezzo di pane nero alla sera, con un microscopico pezzo di margarina, costituivano il nostro vitto quotidiano… Soldati tedeschi venivano di notte a far mercato nero; con un filone di pane compravano orologi, fedi matrimoniali e quanto rimaneva ancora di sacro e prezioso al prigioniero.

Ho assistito e preso parte in questo tempo alla più interessante e interessata lotteria della mia vita. Si tiravano a sorte tre pezzi di pane avanzati dopo tre divisioni del pane.

Al campo di Versen trovammo altri 18 cappellani, e dormivamo in una baracca con un centinaio di medici.

Il 29 novembre, il cappellano M.V. collocò un‘immagine della Madonna sul suo giaciglio e incominciò la novena all‘Immacolata… Con fervore di neofiti, con la fede dei primi cristiani, saliva fiduciosa la nostra preghiera al trono di Maria.

Giunti in Italia dopo la liberazione, ci commossero profondamente tanti racconti di massacri e vessazioni operati dai fascisti, ma non ci stupirono. Li avevamo conosciuti in Germania. Quanti Italiani prigionieri subirono inauditi maltrattamenti da compatrioti fascisti, degeneri.

Un bel gruppetto ne trovammo nel nostro campo di Versen, i quali per fame o altri motivi meno plausibili, avevano aderito alla repubblica. Esemplare il contegno di quasi tutti i medici e altri ufficiali… L‘atmosfera era sempre tesa fra gli aderenti e i non aderenti… Contro i cappellani si scagliavano in modo speciale. Nessuno di noi, come avevamo stabilito in un „Sinodo di Versen“ era passato con loro. Questo essi lo consideravano un affronto…

Il 28 ottobre ci domandarono una solenne funzione religiosa di intonazione fascista. Volevano festeggiare l‘anniversario della marcia su Roma. Rifiutammo decisamente, pronti sempre e celebrare per loro in qualunque altro giorno l‘avessero richiesto…

Sarebbe interessante ricordare tutti i mezzi a cui ricorsero i fascisti per ingrossare le loro stremenzite file.

Ci facevano conoscere il „Credo fascista“:

„Io credo in Dio Padre Onnipotente – creatore del cielo e della terra – credo nella sua giustizia e verità – credo nella risurrezione dell‘Italia tradita – credo in Mussolini e nella prossima nostra vittoria contro l‘invasore. Italiani all‘armi!“

Non impunemente però si profanano le cose sacre! Qualche cosa ci insegni la vergognosa fine del fascismo.

terza puntata (Luigi Rossi, Bochum)

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