1939 – 1945: La resistenza di Giuseppe Barbero prete – settima parte — Lombardi nel Mondo

1939 – 1945: La resistenza di Giuseppe Barbero prete – settima parte

In questi primi giorni di marzo si è avviato presso il Tribunale di Mantova un procedimento per un processo intentato da 44 IMI, ex schiavi di Hitler, che chiedono un risarcimento per i due anni da schiavizzati trascorsi nelle fabbriche e miniere naziste. Diamo il via a una breve serie documentaria su questa ancora oscura pagina di storia e Resistenza (foto: la tomba comune dove riposano più di 50 IMI a Hagen).

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Il cappellano militare Giuseppe Barbero ci ha lasciato un toccante memoriale sulla prigionia degli IMI nel Bacino della Ruhr. Ne offriamo alcuni estratti.

 

La fuga

Lavorai di picco e pala tutta la serata e il giorno dopo fino alle 17, a tirare fuori dai vari rifugi colpiti, prigionieri e Tedeschi.

A che pro rimanere ancora nello Stammlager? I Tedeschi, disorientati, non prendevano alcuna decisione e chiudevano un occhio se i prigionieri scappavano. Gli Italiani erano già fuggiti quasi tutti. Fili spinati più non esistevano…

Mi decisi. Raccolti i miei ultimi stracci, e con alcuni amici, fra i quali il capp. P. Marini, fuggimmo. Attraversammo la città di Dortmund… L‘ossessione nostra era di fuggire, fuggire lontano, lontano da Dortmund, la città della morte, della fame, dei troppo tristi ricordi…

A notte, stanchi, sporchi, affamati, arrivammo presso la Delegazione Italiana di Freischutz. Ci accolsero bene…

Il giorno dopo mi separai dagli amici: il dovere lo richiedeva. Padre Marini si recò a Werdol per assistere gli Italiani di quelle parti, io andai a Schwerte.

All‘ospedale cattolico di questa cittadina domandai la carità di un po‘ di cibo e alloggio…

 

La Diaspora

Visitai tutti i campi di lavoro di Schwerte e dintorni, poi quelli di Hagen, di Haspe, di Iserlohn. Dovunque numerose comunioni. Ad Hagen rividi il mio primo campo di lavoro. Era stato completamente distrutto dal bombardamento del 2 dicembre del 1944, e 54 soldati Italiani vi avevano trovato la morte in pochi minuti. Nonostante tutte le proteste degli Italiani superstiti, furono cremati…

Il giorno 31 marzo feci i funerali di 4 Italiani. Tre erano morti sotto il bombardamento della stazione di Gayseche, l‘altro era stato ucciso da un poliziotto. In lunga fila andavano gli Italiani al lavoro, guidati dai poliziotti. Passano vicini alla stazione bombardata di Gayseche. Treni merci, carichi di patate, erano stati colpiti in pieno. Si china l‘Italiano per raccogliere alcune patate sparse un po‘ ovunque. Lo vede il poliziotto, gli spara e l‘uccide.

Al cimitero assistii al funerale di soldati tedeschi. Erano morti per il grande Reich, per Hitler, e perciò potevano fare a meno del sacerdote. Per i nazisti, Hitler aveva preso il posto di Dio… Al saluto di „Heil Hitler“ le casse calarono nelle buche.

Era il 30 marzo: venerdì santo, giornata diversa da tutte le altre…

Quattrocento fra Tedeschi del „Vecchio partito del Centro“ e stranieri languivano… nelle celle del carcere di Dortmund… I nazisti avevano proprio aspettato quel giorno per torturarli. A sera penetrarono nelle carceri; con filo di ferro perforarono i loro polsi, legandoli così dietro alla schiena.

S‘innalza, vicino a Dortmund, una collina alberata; sotto quelle piante una fossa è già scavata. Colà furono condotti i quattrocento. Compresero allora la triste sorte loro riserbata; pregarono, piansero, supplicando pietà e compassione. Unica risposta il gracidar delle mitragliatrici. Intrisi e bagnati nel loro sangue, cascarono nella fossa, e furono ricoperti con un palmo di terra…

Da un campo di lavoro le guardie tedesche, per l‘incalzante avanzare delle truppe alleate, stavano per ritirarsi. Quaranta ragazze russe languivano nelle carceri del campo, e i Tedeschi, prima di partire, impiccarono queste povere giovani. Accorsero gli Italiani appena fu loro possibile, tagliarono le funi. Cinque di queste ragazze furono ancora salvate.

Quando ritornammo in Italia, viaggiava con noi una di queste Russe che non aveva più voluto lasciare il suo salvatore, e s‘era fatta sposare da lui.

 

Arrivano i Liberatori

Ero a Iserlohn quando venni a sapere che gli Americani erano penetrati a Dortmund. Una frenesia mi prese: voler affrettare anche solo di un giorno la liberazione. Partii a piedi, diretto a Dortmund. Arrivai a Schwerte…

Venerdì 13 aprile, ore 6 del mattino: uno scoppio di gioia incontenibile erompe dai nostri petti: „Siamo liberi, siamo liberi, sono arrivati gli Americani.“ Nella Cappella dell‘ospedale celebro la Messa di ringraziamento. All‘Offertorio, due terribili, potenti esplosioni scuotono le pareti… I Tedeschi, ritirandosi oltre la Ruhr, avevano fatto saltare due ponti su questo fiume…

Uscii per le strade, vidi i primi carri armati americani. Ci sorridevano i liberatori, ci regalavano i loro dolci e le loro sigarette.

Partii tosto per Woerde – Hagen, dove 9 Italiani erano stati uccisi dall‘ultima granata scoppiata in paese… Seppi che in questa cittadina una famiglia nazista si era suicidata al completo, gettandosi in un lago. Dopo la sconfitta ci fu in Germania una vera epidemia di suicidi.

Il 7 maggio 1945 si arrendevano le ultime armate tedesche, e terminava così la guerra in Europa.

Verso la fine di luglio passai nuovamente tre giorni a Dortmund. Si organizzò un magnifico e superbo corteo al cimitero principale della città, onde suffragare, tributare un dovuto omaggio, dare un ultimo addio alle salme dei nostri compagni di prigionia che più non sarebbero tornati.

La lontananza forzata di lunghi anni dalle nostre famiglie, ci ha fatto comprendere che non c‘è altra cosa più grande e più bella al mondo che la famiglia.

Abbiamo compreso pure che se l‘Italia vuol essere ancora grande, bella e rispettata, non deve essere governata da un regime totalitario o settario, ma da un governo veramente democratico, che rispetti tutte le aspirazioni e le libertà di un popolo, non escluso il libero esercizio del culto.

Ottava puntata (Luigi Rossi, Bochum)

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