Iran, la pericolosa sfida all’Occidente — Lombardi nel Mondo

Iran, la pericolosa sfida all’Occidente

L’Iran, dopo l’inasprimento delle sanzioni, ha minacciato di chiudere lo stretto di Hormuz: immediata è stata la risposta del Pentagono che non tollera nessun tipo di ricatto da parte del regime iraniano. Lo scenario si carica di tinte fosche e sembra avviarsi verso le prospettive peggiori. Vediamo il perché.

L’Iran, l’antica Persia, è uno Stato dalla storia e dalla cultura millenarie. Si pone a ridosso del confine tra mondo arabo e asiatico, riunendo diverse lingue e popoli in un comune denominatore: il regime islamico sciita. L’Islam sciita è una componente minoritaria ma ugualmente seguita da almeno 150 milioni di persone nel mondo. La guida suprema dell’Iran rappresenta una guida spirituale per gli sciiti di tutto il mondo. E’ quindi facile capire quali implicazioni possa avere avuto e ha questo tipo di situazione.
La Repubblica Islamica nasce ufficialmente il 30 marzo del 1979, dopo una sollevazione del clero sciita che costringe alla fuga e all’esilio lo scià Reza Pahlavi. Poco prima era rientrato dal lungo esilio l’ayatollah Ruhollah Mustafa Musavi Khomeyni, il capo religioso carismatico che ha rivoluzionato il paese. Il suo lungo esilio (era stato allontanato dall’Iran già nel 1963, riconosciuto responsabile di una congiura contro il sovrano) lo avevo portato ad elaborare un modello di stato e di società fortemente teocratico, basato sul fondamentalismo sciita e sulla sharia, la legge islamica. Modello poi puntualmente applicato alla nuova nazione islamica.
In pochissimo tempo quindi le istituzioni e le realizzazioni della dinastia Pahlavi vennero cancellate: lo scià filo-occidentale e ansioso di costruire una nazione moderna e laica aveva in realtà fallito nei suoi programmi di modernizzazione. Gli ingenti proventi delle esportazioni petrolifere vennero infatti impiegati nell’acquisizione di tecnologie militari e nel mantenimento dello sfarzo della corte imperiale. E’ stato pertanto molto facile per la Guida della Rivoluzione (Khomeyni) liquidare velocemente anche il ricordo del sovrano ormai caduto in disgrazia.
Ben presto tutta la vita degli iraniani venne ristretta nei rigidi parametri dell’osservanza della legge islamica: le donne in particolare, pur avendo la facoltà di studiare, furono da allora costrette a coprirsi e di fatto non hanno ancora oggi libertà decisionale.
Dal punto di vista costituzionale la assoluta preminenza del clero trova conferma nel fatto che lo Stato è subordinato alle gerarchie del clero sciita.  
Al vertice si situa la massima autorità religiosa, il Rahbar, che viene indicata dall’Assemblea degli esperti (86 importanti teologi sciiti). Attualmente questa carica è ricoperta dall’ayatollah Mohamad Alì Khamenei (già presidente dell’Iran dal 1981 al 1989, anno della sua elezione a Guida Suprema della Repubblica Islamica) conservatore e anti-occidentale, consigliere e sostenitore di Khomeyni. Quest’ultimo muore infatti il 3 giugno del 1989, e viene pianto da milioni di iraniani e rivestito di un’aura di santità e di misticismo.
L’Iran, dal 1980 al 1988, è impegnato in un sanguinoso conflitto con l’Iraq che intende occupare le provincie meridionali del paese, ricche di petrolio. L’Iran si trova quasi del tutto isolato dal punto di vista internazionale: solamente Libia, Siria e la Corea del Nord appoggiano le ragioni dello Stato islamico. Questa ostilità da parte della comunità internazionale, che non vede di buon occhio il regime degli ayatollah, induce le massime autorità del Paese a inasprire l’atteggiamento di chiusura e anti-occidentale. Del resto l’Iraq di Saddam Hussein, all’epoca, è appoggiato dalle principali potenze occidentali, Usa compresi. L’estenuante conflitto non si risolve però a favore dell’aggressore iracheno.
La resistenza iraniana è molto forte, specialmente da parte dei Pasdaran, il fanatico corpo d’elite fedelissimo all’autorità suprema iraniana. Il rovinoso conflitto costa oltre un milione di morti da entrambe le parti e danni materiali ingentissimi.
Le posizione iraniane sono diventate nel corso del tempo sempre più intransigenti. Nel 2005 viene eletto Presidente della Repubblica il giovane Mahmoud  Ahmadinejad, laico, ex pasdaran ed ex sindaco di Teheran. Spodesta, non senza qualche ombra, il presidente uscente Rafsanjani, moderato e fautore di un clima di distensione soprattutto a livello internazionale. Da allora le posizioni moderate sono decisamente bandite.
Sin da subito Ahmadinejad si rende noto per i suoi violenti attacchi verbali  agli Usa e per le sue pericolose posizioni antisemite. Durante una conferenza organizzata a Teheran (“Il mondo senza sionismo”) nell’ottobre del 2005 afferma pubblicamente che Israele deve sparire dalla carta geografica. Questa opinione viene ribadita anche in sede Onu, allarmando sia i vertici dello Stato israeliano che la stessa comunità internazionale.
A più riprese queste affermazioni sono state ribadite da Ahmadinejad, innescando tensioni mai placate con Israele e gli Usa.
L’Iran avvia un programma nucleare che è oggetto di profondi dissidi con i paesi della comunità internazionale. Ufficialmente questo programma dovrebbe consentire al Paese di poter esportare maggiori quantità di petrolio dato che oltre il 40 per cento del petrolio estratto serve a fornirgli energia. In realtà, viste le posizioni espresse ripetutamente dal presidente e anche dagli alti vertici dello Stato islamico, si teme che il programma, soprattutto con l’installazione e la messa in funzione di centrifughe per l’arricchimento dell’uranio, serva in realtà a creare materiale fissile per armi nucleari.
Il contraddittorio atteggiamento dell’Iran, che da una parte ribadisce che il suo programma nucleare ha scopi civili e pacifici e dall’altra oppone ostacoli e resistenza di fronte alle richieste e alle ispezioni dell’AIEA, induce seri dubbi sulla reale intenzione di portare avanti un progetto che non implichi realizzazioni belliche. Il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite pertanto, con la risoluzione 1737 del 27 dicembre 2006, impone un embargo pressoché totale di forniture connesse al settore nucleare al Paese.
La sfida iraniana alle autorità internazionali continua: i ripetuti inviti alla collaborazione vengono ignorati e lo stesso Ahmadinejad afferma che è diritto del popolo iraniano dotarsi, al pari di altre nazioni, di armi nucleari.
Israele ha affermato che è suo diritto, anche in via preventiva, difendere il suo territorio e i suoi cittadini e quindi sta valutando dei possibili attacchi mirati ai siti nucleari iraniani.
Nel giugno del 2009 Ahmadinejad viene riconfermato alla presidenza della repubblica iraniana: i profondi malumori delle opposizioni non accettano la vittoria elettorale e, coalizzati attorno ai principali leader sconfitti, tra cui Mir-Hossein Mousavi, scatenano imponenti proteste di piazza, che vengono ben presto represse con ferocia e violenza estreme dall’esercito e soprattutto dai pasdaran, fedeli esecutori degli ordini presidenziali. Le rivolte che avevano suscitato entusiasmo e appoggio in buona parte del mondo occidentale, ben presto lasciano il posto alla ripresa della azione politica del regime, che prosegue nel suo programma di rafforzamento militare, perfezionando e incrementando il suo arsenale con i missili a medio e lungo raggio denominati Shahab, già sperimentati con successo nel 2008.
Le sanzioni nei confronti dell’Iran vengono progressivamente inasprite. Nel giugno del 2010 anche l’amministrazione Usa approva pesanti sanzioni unilaterali. Nel settembre 2011 la Francia, tramite il suo presidente, afferma che la volontà dell’Iran è quella di non collaborare e che le ambizioni militari e nucleari iraniane potrebbero portare ad attacchi preventivi da parte delle forze occidentali.
Gli Usa, nel mese di novembre 2011, prendono una posizione ancora più decisa rispetto al 2010, decretando il blocco delle attività finanziarie e dei settori petroliferi e chimici iraniani. Si cerca così di privare il paese delle risorse necessarie alla prosecuzione dei suoi piani militari. Inoltre il presidente Obama afferma di voler perseguire le attività illecite e le società  costituite dall’Iran all’estero per aggirare le sanzioni e i blocchi imposti.
Queste misure riscuotono approvazione immediata da parte dell’Unione Europea e di altri paesi. L’Iran non sembra però voler ritrattare le sue posizioni.
E’ di pochi giorni fa la notizia del possibile ulteriore inasprimento delle sanzioni, e la inevitabile nuova provocazione iraniana, quella di bloccare il vitale stretto di Hormuz. Gli Usa hanno dichiarato che non accetteranno ulteriori provocazioni. Nel frattempo l’Iran sta preparando esercitazioni militari nello stretto di Hormuz e ha avvertito che la sua marina militare è pronta alla guerra. E’ evidente che gli scenari peggiori, quelli che  teoricamente erano previsti solo qualche mese fa, potrebbero divenire realtà. Si teme, specie da parte americana, che Israele possa attaccare unilateralmente l’Iran, provocando la immediata reazione di quest’ultimo.
Verrebbero pertanto lanciati missili a medio-lungo raggio da entrambe le parti, innescando così un pesante conflitto regionale. La Siria e gli Hezbollah filo-iraniani colpirebbero anch’essi Israele, l’Iran potrebbe colpire le basi americane presenti nella regione, a partire da quelle del Bahrain, dove ha sede il comando della quinta flotta Usa.
E’ auspicabile che si riesca ad arrivare quanto prima a una soluzione negoziale tra le parti e che il dialogo prevalga sui forti venti di guerra che soffiano ancora una volta nella tormentata regione medio-orientale.

Ivan Tresoldi

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