Stati Generali dell’Emigrazione — Lombardi nel Mondo

Stati Generali dell’Emigrazione

Presentiamo la Relazione di Ilaria del Bianco, dal titolo L’ASSOCIAZIONISMO DEGLI ITALIANI ALL’ESTERO, TRA INTEGRAZIONE E NUOVA EMIGRAZIONE: DIRITTI, PARTECIPAZIONE E RAPPRESENTANZA SOCIALE

Un benvenuto affettuoso e cordiale a tutti i rappresentanti dell’Associazionismo provenienti dall’estero e dall’Italia, a nome del Comitato rivolgo a voi un forte e doveroso ringraziamento per lo sforzo fatto per essere presenti: senza il vostro caparbio impegno, senza il profondo legame con le comunità italiane residenti all’estero, non saremmo qui a Roma in questa due giorni convocata per riflettere sul presente e sul futuro di quella parte di Italia emigrata, che nonostante lo scorrere dei decenni non dimentica le proprie origini e la propria italianità, anzi fa di tutto per non disperdere l’identità culturale malgrado le crescenti difficoltà. Lo dobbiamo fare in questi due giorni, dobbiamo riflettere con attenzione sui complessi fenomeni e sulle caratteristiche che accompagnano la transizione dalla “vecchia emigrazione” ai nuovi protagonisti, che non sono soltanto le terze, le quarte e le quinte generazioni poiché vi é una spinta che alimenta, a regime crescente, un nuovo flusso emigratorio dall’Italia verso vari continenti. Un flusso che eufemisticamente definiamo “nuove mobilità”, ma che in verità è il segno della crisi del nostro sistema produttivo, della mancanza di lavoro nel nostro Paese che porta così tanti giovani a cercare lavoro all’estero ripercorrendo, seppure con caratteristiche diverse, le strade già percorse nel passato da milioni d’italiani.

 

Nel manifesto degli Stati Generali sottoscritto da tantissime associazioni, abbiamo affermato che “Attraverso l’associazionismo i cittadini italiani residenti all’estero hanno definito la loro appartenenza culturale e la loro identità in una positiva sintesi con le altre culture incontrate. Il mantenimento delle tradizioni e della memoria collettiva hanno anche portato un contributo importante alla crescita dei paesi di accoglienza e ampliato le relazioni di questi paesi con l’Italia. Questo modo di vivere la cittadinanza richiede, per esprimersi al meglio, il concorso delle istituzioni e delle varie espressioni della società e della società civile.”

Questo passo del Manifesto degli Stati Generali è già di per sé indicativo sul portato e sugli obiettivi che questa assemblea intende concretamente realizzare rapportandosi in modo sinergico con le istituzioni, la società civile, gli italiani all’estero ed il mondo dell’informazione indicando nuove prospettive all’associazionismo all’estero, che in un mondo sempre più globalizzato deve confrontarsi con problemi nuovi e con i processi d’integrazione che hanno mutato radicalmente il campo in cui l’associazionismo stesso si è sviluppato. Questo è il nostro obiettivo e come Comitato Organizzatore auguriamo che a conclusione dei nostri lavori si possa dire che questa Assemblea rappresenti una base di partenza partecipata, densa di certezze in tal senso, capace di dare radici forti a questo slancio verso il futuro

Lo abbiamo ribadito più volte, l’obiettivo non è soltanto di aggiornare e rilanciare le ragioni di un impegno dell’associazionismo degli italiani all’estero, carico di due secoli di storia, ma anche di richiamare con forza l’attenzione delle Istituzioni pubbliche – principalmente Stato e Regioni – che in questi ultimi anni hanno disatteso progetti e speranze maturate in una stagione ricca d’interazione, d’intelligenza e di fattiva cooperazione, in particolare tra gli anni novanta e l’inizio del secolo . Da quella stagione segnata dalla speranza siamo passati man mano all’indifferenza che è ben peggiore dei tagli finanziari e dello smantellamento dei servizi faticosamente conquistati; perché l’indifferenza genera invisibilità, che a sua volta vuol dire spezzare il filo del legame e della memoria, quel legame quasi viscerale che da oltre un secolo e mezzo lega non solo emotivamente gli italiani all’estero all’Italia.

Di fronte a questa realtà deludente e per certi versi sconcertante, le associazioni che hanno continuato ad impegnarsi nella Consulta Nazionale dell’Emigrazione hanno deciso, poco meno di due anni fa, di dare vita ad un comitato promotore con l’obiettivo di aggregare il più ampio numero di associazioni e di costituire quel Comitato Organizzatore che ha portato con grande impegno di tutti i suoi membri al concretizzarsi oggi di questi Stati Generali dell’Associazionismo italiano nel Mondo. Il percorso – dall’elaborazione del manifesto fino all’Assemblea odierna – è stato scandito da 7 incontri del Comitato organizzatore e da una trentina di riunioni del Comitato promotore che ne ha reso operative le decisioni. Abbiamo avuto momenti di confronto anche con il Parlamento, in particolare con i due comitati presieduti rispettivamente dal Senatore Claudio Micheloni e dall’Onorevole Fabio Porta che come noto si occupano specificatamente delle questioni degli italiani residenti all’estero.

L’assemblea costituente e il Forum

Questa è un’assemblea costituente, giova ribadirlo, dalla quale nascerà il Forum, un organismo che dovrà concretamente andare oltre il contesto che aveva dato vita alla CNE. Forum che, nel rispetto del pluralismo delle idee e delle culture originate dalla singole storie, si propone come forma di rappresentanza sociale che non si ferma ai confini nazionali ma, recependo la pluralità delle esperienze territoriali, sia in grado di offrire modelli di partecipazione e di aggregazione efficaci e rispondenti alle urgenze poste dai problemi che l’associazionismo italiano all’estero vive da vari anni e che altrimenti sono probabilmente destinati ad aggravarsi nel futuro. Auspichiamo dunque una discussione aperta, ampia e coinvolgente, non fine a se stessa, che affronti i problemi nella loro dimensione attuale e in quella di prospettiva. Un discussione che metta al centro il lavoro e l’integrazione, la rappresentanza, le nuove mobilità e i diritti di cittadinanza.

In quanto membri della società civile che si organizza ci sentiamo  impegnati a far sentire la nostra voce a tutti i livelli decisionali al fine di determinare progetti per un futuro equo, solidale e sostenibile; a rappresentare le istanze della società civile nei dibattiti e nei processi di formazione delle politiche pubbliche; a rafforzare e integrare la rete internazionale di progetti, azioni e iniziative che costituiscono un’importante risorsa collettiva per lo sviluppo umano.

Nella piena condivisione degli stretti legami fra riequilibrio tra le diverse aree del mondo, sostenibilità ambientale , equità, ci confortano i contenuti recentemente espressi ad esempio nella “Carta di Milano” che raccoglie riflessioni di decenni di impegno sociale e civile e che ritiene accettabili e ingiustificabili le enormi diseguaglianze nelle opportunità tra individui e popoli da cui in gran parte dipendono i flussi migratori.

Dobbiamo farlo e lo dobbiamo fare bene perché la situazione non consente tentennamenti, chiede di agire e di agire in fretta. Le recenti elezioni per il rinnovo dei Comites hanno certificato con brutalità, se volete, la voragine che si è aperta tra le rappresentanze democratiche e le comunità italiane emigrate. Moltissimo è stato detto ed è stato scritto sulla debacle delle elezioni per il rinnovo dei Comites ed è difficile accettare che un organismo così importante possa essere eletto con un partecipazione media a livello mondiale del 4,46% della platea degli aventi diritto e con una percentuale di voti validi pari al 3,75%. Molteplici fattori hanno influito su questo risultato. Forse in tante situazioni non vi è stato un impegno forte delle associazioni; forse è venuto meno un loro adeguato coinvolgimento, vista la tentazione di alcuni ambienti di trasformare l’elezione dei Comites in palestra elettorale. Forse ha pesato come, in questi ultimi 10 anni, l’attenzione delle comunità e delle loro organizzazioni si è via via concentrata sulle problematiche locali, anche perché i motivi di impegno e di vicinanza con la realtà italiana erano sempre minori e le lotte decennali per far nascere organismi di rappresentanza democraticamente eletti non hanno prodotto risultati così eclatanti.

Gli organismi di rappresentanza, crisi presunta o realtà che muta?

Ma come è potuto accadere tutto ciò? Se lo sono chiesti in tanti – esperti, responsabili politici e della pubblica amministrazione– e non avrebbe senso ripetere qui analisi e valutazioni. Non si possono tuttavia ignorare le responsabilità del Governo e del Parlamento, incluse quelle dei parlamentari eletti all’estero, rispetto ad una situazione che di rinvio in rinvio è divenuta surreale. Per ragioni incomprensibili – visto che lo spettro di tempo a disposizione è andato dal 2004 al 2015 – non è stato affrontato con serietà il tema della riforma dei Comites e parimenti del CGIE. Anzi sono emerse contraddizioni assurde dentro il Cgie, persino sulle finalità da attribuire agli organismi di rappresentanza che si sono aggiunte al balletto delle leggi e leggine proposte, ai veti e contro veti. Non sorprende affatto, dunque, la bocciatura emersa in occasione dell’elezione dei comites in termini di partecipazione, benché questa fosse complicata da un sistema di voto farraginoso: una bocciatura che ci auguriamo abbia fatto scattare almeno qualche campanello di allarme nelle stanze del Governo così come in Parlamento, tale da spingere le istituzioni ad un cambio di rotta che smentisca quella sterile dietrologia che sosterrebbe che tutte queste mancanze ed errori rispondano a un progetto di definitiva cancellazione di quanto conquistato in termini di rappresentanza.

Fatto è che il CGIE è stato riformato d’ufficio dalla Farnesina   per la riduzione del numero dei componenti; una riduzione che, pur condivisibile, si è presentata come assurda nella qualità, ovvero per le modalità di assegnazione del numero dei componenti ad ogni Paese. Anche in questa vicenda emergono le responsabilità dei parlamentari eletti all’estero e del CGIE stesso.

La rete associazionistica ha spesso raccolto le testimonianze e le dichiarazioni poco benevole dei connazionali a cui è stata tolta voce: un CGIE essenzialmente europeo, che forse consente di risparmiare qualcosa nei suoi costi di gestione, ma all’interno del quale si sottovalutno in modo incomprensibile Paesi ed aree fondamentali come gli Stai Uniti d’America, l’Australia, le aree continentali africana ed asiatica.

Né il metodo né i criteri politici (o economici) che hanno guidato tali scelte sono condivisibili: ogni comunità italiana emigrata è parte dello stesso mosaico, parte di una stessa storia di sacrificio e allo stesso tempo di un contributo ampio e tangibile offerto alla crescita dell’Italia e dei diversi Paesi di accoglimento.

A cavallo tra gli anni ’90 e l’inizio di questo secolo ci siamo battuti prima da soli e poi insieme ad altri soggetti collettivi (ai Comites e al CGIE) per la rappresentanza parlamentare ritenendola il traguardo di una sfida durata decenni, credendo che la valorizzazione delle collettività italiane all’estero sarebbe finalmente uscita dalle stanze del MAE o dai testi di pochi studiosi. Al contrario, si è assistito, negli ultimi 7 anni, ad un gravissimo arretramento nel rapporto tra lo Stato italiano e le collettività emigrate.

Accanto alla scarsissima partecipazione per il rinnovo dei Comites e all’improduttività dell’azione del CGIE si deve registrare (a distanza ormai di 10 anni dalla sua introduzione) la scarsa incisività della rappresentanza parlamentare, sulla quale si erano posti gli auspici di una valorizzazione delle collettività emigrate, mentre in parallelo, negli ultimi 7 anni le collettività emigrate hanno via via dovuto ingoiare rospi amari come lo smantellamento della rete consolare e la chiusura totale verso qualsiasi proposta di modelli alternativi nell’erogazione dei servizi ai cittadini. Inefficienze, ritardi e distanze crescenti hanno compromesso il rapporto tra cittadino emigrato e rappresentanze dello Stato all’estero.

L’insegnamento della lingua e della cultura italiana ai figli degli italiani emigrati ha subito drastiche riduzioni e balza agli occhi soprattutto l’incapacità dello Stato di adottare una decisione netta sul modello strategico che si deve dare, sia per far fronte alle diminuite risorse sia per i processi globali che hanno modificato profondamente il quadro di riferimento. Chi ne ha la responsabilità non è capace di elaborare una strategia a medio-lungo termine, ad esempio nel comparto delle scuole italiane all’estero e della diffusione della lingua e della cultura italiana, al pari di quanto fanno inglesi, francesi tedeschi e spagnoli. Sorge il dubbio che non siamo nemmeno capaci di copiare modelli che hanno dato buona prova di sé.

Con la stessa velocità con cui fu eliminato il Ministero degli italiani nel mondo, sono stati messi da parte o completamente cancellati i bandi e i progetti, taluni già sperimentati e rodati, per creare un circuito sinergico tra l’Italia e la rete di imprenditori o di giovani italiani all’estero, come è accaduto per la formazione professionale binazionale e i progetti di sviluppo e messa in rete. Per fortuna alcune, (poche) Regioni non hanno “sgomberato il campo” e non sfugge di certo a noi l’importanza della loro fondamentale funzione per mantenere o allargare il cerchio delle opportunità. Tuttavia in termini contabili l’intervento pubblico verso le collettività emigrate si è ridotto in media di circa l’80%. Diverse regioni lo hanno completamente abolito.

L’associazionismo, una risorsa fondamentale

Non vogliamo però esimerci dalle nostre responsabilità facendo dipendere le difficoltà unicamente dal calo d’interesse delle Istituzioni e dalle conseguenze nefaste della crisi economica che attanaglia l’Italia. Non possiamo infatti nascondere che vi sono responsabilità anche nell’ambito associativo, locale, sia quello regionale o nazionale , in particolare quando e dove ha tardato ad affrancarsi da varie subalternità, atteggiamenti strumentali, scarsa autonomia. Quando ha confuso la propria inderogabile funzione di rappresentanza e di attivismo sociale (che costituisce la sua specifica mission) con forme spurie di adesione partitica o di acritica accondiscendenza istituzionale.

Vi è stato poi anche un colpevole ritardo nel mantenere forme organizzative eccessivamente centralizzate su direzioni nazionali che non hanno colto in modo adeguato le modificazioni e le novità che emergevano nelle rispettive reti e all’interno delle collettivà.

Per riconquistare forza e slancio l’associazionismo deve riscoprirne i suoi valori fondanti, la solidarietà come legame basilare tra le persone, il senso civico e di appartenza, la responsabilità collettiva per una società più solidale e per la partecipazione democratica, l’apertura e la capacità di ascolto e di relazione, la disponibilità alla “contaminazione” interculturale, rifuggendo da autoreferenzialità e presunzioni italo centriche o dal considerarsi depositario esclusivo di una storia che invece appartiene a tutti, all’Italia e agli italiani all’estero e agli stessi paesi dove ci siamo insediati. Riconquistare una profonda consapevolezza del nostro proprio ruolo ed essere capaci di innovare e di porci in discussione aperta dovrebbero essere le direttive poste alla base di una azione forte per affrontare il futuro con rinnovato slancio. Innovare per innnestare nuove energie in un contesto già ampio e consistente e profondamente radicato: oltre 3.500 associazioni censite, rapida crescita delle aggregazioni virtuali sui social network, migliaia di gruppi facebook che collegano già oggi quasi un milione di persone.

Gli italiani all’estero sono stati partecipi e hanno sperimentato sulla loro pelle cosa vuol dire interazione con la società ospitante, conoscono gli effetti problematici dei processi d’integrazione non accompagnati dal rispetto per la cultura d’origine, in molti casi vivono in società interculturali e sono interessati sempre più al contesto in cui vivono. Hanno, insomma, un patrimonio di conoscenze acquisite sul campo che possono significare molto per l’Italia di oggi in cui la discussione sull’immigrazione assume quasi sempre toni populistici e di scontro durissimo, anziché di dibattito serio sul modello di governance di questo fenomeno. Omettendo volutamente, tra l’altro, che alla base vi è l’inarrestabile calo demografico del nostro Paese, un calo che mette a forte rischio il sistema di welfare italiano dei prossimi anni.

“Niente di questo mondo ci risulta indifferente”, come a ragione viene affermato nella Enciclica “Laudato si” di Papa Francesco. E’evidente il deterioramento della qualità della vita umana, la degradazione sociale che si viene producendo e l’inequità che “non colpisce solo gli individui ma paesi interi e obbliga a pensare ad un’etica delle relazioni internazionali” della quale si sente sempre più l’esigenza.

Con alle spalle la nostra storia di emigrazione siamo consapevoli dell’importanza che la realtà sociale nella quale siamo calati esiga che si continui a perseguire come prioritario l’obiettivo dell’accesso al lavoro per tutti “aldilà degli interessi limitati delle imprese e di una discutibile razionalità economica” (enciclica “Laudato si” pag 49). Emigrazione e immigrazione rappresentano, con sfumature diverse, il concretizzarsi di uno stesso fenomeno.

Quali donne e uomini che hanno conosciuto l’emigrazione, come associazioni che li rappresentano possiamo essere di stimolo e di aiuto nei difficili percorsi di integrazione in ambienti culturali diversi; noi stessi oggi esprimiamo una vasta, sincretica e plurale identità che costituisce una formidabile ricchezza di vissuto e di competenze per la costruzione di ponti tra realtà diverse e di possibilità di cooperazione tra paesi.

È dunque in questo quadro che l’associazionismo può tornare ad assumere tutta la sua importanza, a patto che esprima una soggettività autonoma e svincolata da paradigmi unilaterali o da subalternità culturali, partitiche o istituzionali.

In questo percorso, assume grande importanza la novità costituita dalla nuova emigrazione connotata da particolarità e specificità che pongono un ampio ventaglio di problemi e di nuove battaglie sociali da sostenere: dall’accompagnamento, all’assistenza, alla tutela di nuovi diritti e nuove garanzie di welfare transnazionale da ri-conquistare.

Le nuove emigrazioni

Sarà il 2105, come sostengono autorevoli rappresentanti del Governo, il punto di rottura della crisi e il rilancio economico italiano? Dobbiamo augurarcelo con forza, poiché nel nostro Paese la “questione lavoro” è l’emergenza delle emergenze. I nuovi flussi in uscita dall’Italia attestano che negli ultimi anni l’emigrazione è ritornata ed è in forte aumento! Nell’ambito dell’associazionismo sono stati prodotti in questi anni, studi, ricerche e approfondimenti di grande valenza, come il Rapporto Italiani nel Mondo coordinato da Migrantes, che mette a disposizione, da anni, una fonte attendibile e autorevole di dati sull’Italia nel mondo, sulle novità che la riguardano e sulle nuove migrazioni.

Secondo i dati AIRE, al 1° gennaio 2014 gli iscritti erano 4.482.115, ovvero il 7,5% degli italiani residenti in Italia. L’aumento in valore assoluto, rispetto al 2013 è stato di quasi 141mila iscrizioni, con un incremento del 3,1% e occorre ricordare che molti nuovi emigrati non si iscrivono all’AIRE nei termini previsti dalla legge. Dobbiamo dunque ritenere che tali cifre siano di molto sottostimate e che nei prossimi anni continueranno ad aumentare sensibilmente.

Questo nuovo fenomeno impone un’attenzione e un’analisi puntuale, scevra di toni retorici, ed una sfida che dobbiamo raccogliere e vincere: progettare l’associazionismo del futuro. Un associazionismo capace d’integrare la tradizionale e più antica presenza organizzata con i nuovi bisogni e le necessità che caratterizzano le sfide del presente e del domani.

Il nuovo patto associativo all’origine del Forum

La proposta del Forum si inserisce in tale contesto, da una parte come assunzione di responsabilità autonoma delle organizzazioni sociali, mirando ad una ricomposizione del tessuto connettivo stesso dell’emigrazione, dall’altra per superare le divisioni nel campo associativo che erano contraddistinte da ispirazioni ideali, e talvolta ideologiche, legate ad una fase politica che di fatto è superata.

Il Forum, con lo strumento del patto associativo, intende dunque esprimere una rappresentanza unitaria di questo mondo sociale plurale che non può, per sua stessa natura, essere ricondotto, né assimilabile, a quello istituzionale e politico della cosiddetta “rappresentanza perfetta” costituita dalla triade Comites, CGIE, rappresentanza parlamentare. Esso si pone invece come interlocutore critico di questi momenti. La soggettività del forum, in questo senso, è pienamente libera ed autonoma, anche rispetto alla dimensione politica e ad altre entità organizzate.

Per realizzare questo programma il Forum, oltre a recuperare le ragioni di un impegno già illustrate, deve cercare e stringere alleanze con le altre organizzazioni sociali e deve tentare di ampliare il ventaglio di interlocutori istituzionali, oltre l’Italia, verso i Paesi di accoglimento e altre istituzioni multilaterali e continentali (a partire dalla UE), superando la dimensione nazionale, un processo che per altro è già in buona parte atto nelle sue espressioni più innovative come abbiamo sottolineato nel documento preparatorio. Allo stesso tempo, rispetto al quadro di riferimento italiano, si potrebbe instaurare una fase di progettualità comune, in questa direzione, con i nuovi Comites.

In ogni caso il successo del Forum dipenderà molto dalla sua predisposizione all’ascolto delle realtà locali e dalla capacità di essere soggetto in grado di valorizzarne gli elementi di novità e di qualità diffondendoli all’intera rete associativa aderente, superando la dimensione di centralismo, orami poco produttiva. In questo senso, può essere interpretato come un soggetto pluricentrico, dimensione che potrà essere acquisita anche con la nascita di Forum nei singoli Paesi, in rapporto biunivoco con il Forum in Italia. Il Forum nazionale deve fungere da coordinamento, stimolo e propulsione, oltre che di rappresentanza nei confronti delle istituzioni nazionali e regionali.

Quanto ai mezzi e ai campi di azione specifici su cui programmare la propria attività, essi sono in buona parte indicati nel documento preparatorio: innanzitutto, ottimizzare la comunicazione interna e la diffusione di buone pratiche a tutta la rete nei diversi ambiti di azione dell’associazionismo: partecipazione, educazione civica, cultura, lingua, formazione, progetti di sviluppo locale, ecc.

La struttura del Forum, deve quindi privilegiare il massimo di partecipazione, comunicazione e strutturarsi per ambiti di lavoro comuni in relazione ai diversi obiettivi che si pone. La struttura di rappresentanza interna dovrebbe essere agile e a rotazione. La struttura operativa deve privilegiare e valorizzare le tante competenze presenti nella rete.

Concludo con una breve nota sui seguiti: entro il prossimo autunno dovremo approvare la forma statutaria e si dovrà concordare un primo programma d’azione condiviso. Sentiamoci tutti attori responsabili e cooperativi di questo comune impegno.

A tutti buon lavoro!

 

 

 

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