Emigrazione: Note storiche per non dimenticare, 3 — Lombardi nel Mondo

Emigrazione: Note storiche per non dimenticare, 3

I “nuovi migranti” sono sempre più i tecnici e altre persone qualificate assunti da Centri Ricerca, Università e imprese multinazionali o in trasferta all’estero al seguito delle loro aziende. Si tratta spesso anche di giovani muniti di elevati titoli di studio, che scelgono di far valere il proprio percorso formativo e professionale in altri paesi

I nuovi migranti

I “nuovi migranti” sono sempre più i tecnici e altre persone qualificate assunti da Centri Ricerca, Università e imprese multinazionali o in trasferta all’estero al seguito delle loro aziende.

 

 

Si tratta spesso anche di giovani muniti di elevati titoli di studio, che scelgono di far valere il proprio percorso formativo e professionale in paesi in grado di offrire loro migliori opportunità. Negli ultimi 5 anni (2001-2006) vi è stato un incremento dei laureati iscritti all’AIRE del 53,2%: erano 39.013 a dicembre 2001 e sono diventati 59.756 a maggio 2006. Emigrano annualmente 3.300 laureati, in maggioranza maschi: il numero di chi parte è pari, pressappoco, al totale degli studenti che si laureano annualmente all’Università di Roma “La Sapienza”, all’Università di Bologna e all’Università di Padova. Tra le destinazioni intercontinentali gli Stati Uniti sono di gran lunga la meta più importante, ma anche Londra è una delle destinazioni preferite dai giovani, attratti dal fascino di una città cosmopolita e dalle sue opportunità formative (principalmente in ambito linguistico) ed economico-professionali. Ma non si tratta degli unici sbocchi: in Svizzera, ad esempio, insegnano 267 professori universitari. I laureati residenti all’estero sono particolarmente concentrati anche in Argentina e in Brasile.

 

Anche in questo caso si pone il problema del collegamento tra vecchi e nuovi migranti. Questi ultimi, dalle aspettative ben diverse, molto spesso restano sostanzialmente estranei alla rete associativa tradizionale e si raccolgono piuttosto in circoli legati ai loro interessi economici e commerciali. Per loro l’emigrazione rappresenta un’opportunità in primo luogo professionale per emanciparsi dalle difficoltà incontrate nel mercato del lavoro italiano. Le ragioni della possibile emigrazione di oggi sono ben diverse da quelle del passato. Lo attestano anche i risultati di una recente indagine dell’EURISPES (Un italiano su tre andrebbe a vivere all’estero, 2006), secondo i quali, a spingere gli italiani all’emigrazione sarebbero, in primo luogo, le maggiori opportunità lavorative offerte da altri paesi (25,7%), seguite dalla curiosità (22%) e dalla vivacità culturale (14%).

 

L’economia globalizzata  e il ruolo degli italiani all’estero

Nonostante il calo delle rimesse, gli italiani nel mondo possono costituire una preziosa risorsa per lo sviluppo del sistema economico-produttivo italiano che da diversi anni perde competitività, ma che può riprendersi anche grazie al loro attivo coinvolgimento. Si tratta di valorizzare e incentivare la collaborazione con la business  community sorta dall’esperienza migratoria italiana e sfruttarne il supporto in termini di informazioni e di appoggi.

 

L’Italia è solo alla 56a posizione del World Competitiveness Yearbook. Gli investimenti diretti all’estero (IDE) sono, rispetto al prodotto interno lordo, il 64,8% in Gran Bretagna, il 38,1% in Francia, il 33,5% in Spagna e solo il 16,7% in Italia. Non vanno meglio le cose nel settore della ricerca: nel periodo 1999-2004 le domande di brevetti provenienti dall’Italia presso l’European Patent Office hanno rappresentato solo il 3% del totale.

Non si parte, però, dall’anno zero. Il commercio internazionale coinvolge mezzo milione di imprese italiane, secondo una stima di Assocamerestero, mentre secondo un’altra fonte (MAP 2005), sono 180.000 le aziende italiane che esportano all’estero, di cui 250 con più di 250 dipendenti. Prima regione esportatrice risulta essere la Lombardia (con una quota del 28,5%), seguita da Veneto e Emilia Romagna, e questo soprattutto nei settori della meccanica, della moda, ma poco nell’high tech. È assodato, inoltre, che le medie imprese italiane riescono a essere competitive quando si rivolgono a fasce medio-alte del mercato. Da indagini condotte di recente è risultato che in larga misura gli operatori economici stranieri considerano affidabili le imprese italiane, guardano all’Italia come culla del design e apprezzano il livello qualitativo dei suoi prodotti.

 

L’Italia è inoltre il primo paese per numero di aziende e per capitali investiti nell’Est Europa. Solo in Romania vi sono circa 17.000 aziende che danno lavoro a 670.000 persone. In Cina, invece, le aziende italiane sono solo 1.428, più le 300 di Hong Kong, ma con buone prospettive di sviluppo dopo la recente missione governativa nel paese (settembre 2006).

Un’estesa rete operativa, che attende solo di essere potenziata e meglio raccordata, è costituita dalle 72 Camere di Commercio Italiane nel mondo, dai 104 uffici dell’Istituto nazionale per il Commercio Estero (ICE) e dai 155 uffici commerciali presso le 238 sedi diplomatico-consolari del Ministero degli Affari Esteri. La legge 56/2005 per l’internazionalizzazione delle imprese ha inoltre previsto l’istituzione dello Sportello Unico, quale strumento di raccordo di tutte le strutture competenti, e sono stati già realizzati 42 sportelli pilota.

Sono oltre 14.000 le imprese fondate all’estero da imprenditori di origine italiana con 3,3 milioni di addetti e un fatturato di 200 milioni di euro (CGIE 2005): a sua volta la CIIM  (Confederazione degli Imprenditori Italiani nel Mondo) ne ha schedate 10.000, delle quali il 28,3% in Europa e in particolare in Albania, Germania, Francia e Regno Unito. Esse producono per le aziende italiane un indotto, in termini di commesse, pari a 191 miliardi di lire (UIC 2003).

Ulteriori dati aiutano a rendersi maggiormente conto dell’impatto economico legato all’emigrazione. Sono 60.000 i ristoranti italiani nel mondo (di essi 35.000 in Europa) con un fatturato di 27 miliardi di euro e un miliardo di clienti. Gli italiani in Germania sono titolari di 38.000 aziende, specialmente nel settore gastronomico: solo le gelaterie, riunite nell’UNITEIS, organizzazione affiliata alla Confartigianato tedesca, sono circa 2.500, in prevalenza gestite da italiani originari del Nord-Est. Le gelaterie sono una buona vetrina del made in Italy e comportano annualmente un indotto di circa 250 milioni di euro per approvvigionamento delle materie e 100 milioni di euro per investimenti in arredi e manutenzione. Questo fiorente mercato pone però problemi sul piano della continuità: purtroppo in Germania i due terzi dei ristoranti non appartengono più a italiani e anche nella Corea del Sud, dei 600 ristoranti italiani presenti, solo 8 sono gestiti da italiani. Poiché i figli dei gelatieri italiani nelle città tedesche non vogliono continuare l’attività dei padri, si è trovata una soluzione collegando diverse realtà migratorie, ovvero facendo arrivare in Germania un migliaio di giovani di origine italiana dall’Argentina e dal Brasile.

L’idea di fondo, ribadita con forza anche nel corso della II Conferenza Stato-Regioni- Province Autonome-CGIE (2005), è quindi quella di utilizzare gli imprenditori italiani all’estero come “consulenti” del “sistema Italia”, e questo nella piena consapevolezza dell’opera di valorizzazione del made in Italy di cui si sono fatti promotori tramite le loro iniziative imprenditoriali; in particolare gli emigrati italiani “di successo” possono infatti esercitare “una sorta di attività di lobby”.

 

In quest’ottica si muovono oggi soprattutto le Regioni, che, tramite le Consulte per l’emigrazione, approvano progetti e stanziano fondi per l’internazionalizzazione nei paesi di maggiore presenza di corregionali, spesso puntando sulla promozione di specifiche produzioni merceologiche, per cui l’incremento delle relazioni con le collettività dei corregionali diventa una leva per lo sviluppo locale. A riguardo, si possono citare ITENETS (International Training and Employment Networks) e PPTIE (Programma di Partenariato Territoriale con gli Italiani all’Estero),finalizzati a guidare le regioni del Mezzogiorno nel processo di internazionalizzazione.

 

Per un nuovo legame culturale a livello transnazionale

L’italiano nel mondo non è una lingua sconosciuta, come lascia intendere l’ampia e diffusa presenza di connazionali e di oriundi. La Svizzera è l’unico paese estero in cui l’italiano è lingua nazionale, anche se la percentuale di coloro che lo parlano è in diminuzione. In Australia la nostra lingua è la più parlata dopo l’inglese. In Argentina gli studenti di italiano sono circa 93.000, ripartiti in più di 5.000 corsi con 1.359 insegnanti. Negli Stati Uniti sono 60.000 i ragazzi che studiano l’italiano e, da settembre 2005, l’italiano è entrato nell’Advanced Placement Program (APP), ingresso che consentirà il suo insegnamento in più di 500 scuole secondarie degli Stati Uniti, come già avviene per le lingue spagnola e francese. Nel mese di maggio 2006, inoltre, 20 parlamentari dell’Uruguay hanno deciso di seguire un corso di italiano.

Non sono poche le iniziative condotte per soddisfare le necessità tanto degli italiani che degli amanti dell’italiano. Sono stati 6.519 i corsi di italiano organizzati nel 2004 dagli Istituti Italiani di Cultura, oltre 5.000 quelli organizzati nello stesso anno dalla Società Dante Alighieri, 16.517 i corsi tenuti nelle scuole pubbliche (a.s. 2003/ 2004), cui si aggiungono ulteriori 13.181 corsi realizzati, al pari dei precedenti, grazie ai contributi erogati dal MAE, per un totale di quasi 600.000 studenti.

Questi dati aiutano a inquadrare la situazione attuale e a omprendere l’esigenza di porre in essere progetti incisivi di promozione e valorizzazione della lingua italiana.

Bisogna evitare, in primo luogo, che le nuove generazioni dimentichino la lingua dei loro genitori. Nella vicina Svizzera, ad esempio, solo un terzo dei ragazzi tra i 6 e i 15 anni frequenta corsi di italiano e raggiunge un livello intermedio di conoscenza, mentre un crescente numero di anziani non parla più correntemente la lingua madre e ciò è di pregiudizio anche ai vari livelli di partecipazione. Le iniziative culturali sono anche, come accennato, un veicolo di valorizzazione dell’immagine dell’Italia e del made in Italy. Esistono importanti settori che “parlano italiano”, si pensi al teatro lirico, al restauro, alla moda. Promuovere il patrimonio culturale italiano significa, di riflesso, promuovere anche le peculiarità industriali, artigianali, agroalimentari del nostro paese. La cultura ha infatti importanti ricadute sul piano delle relazioni internazionali, del turismo (il viaggio in Italia è un “sogno classico”) e del marketing, e nel processo di internazionalizzazione questi diversi aspetti sono tra di loro strettamente collegati. La lingua e la cultura italiana diventano, così, una sorta di “anticipatore d’incontro” con il nostro paese, con positive ricadute innanzitutto sul turismo.

Se si valutano con attenzione questi fattori, l’obiettivo di potenziare la qualità e la quantità delle iniziative di promozione linguistico-culturale si impone per ragioni di coerenza, perché già attualmente le richiesta supera di gran lunga l’offerta e urgono ulteriori “prodotti” da offrire a un pubblico sempre più colto e moderno.

 

Cittadinanza, partecipazione,  tutela sociale e associazionismo

È crescente l’interesse all’acquisizione o alla riacquisizione della cittadinanza italiana: al Consolato di Buenos Aires sono pendenti 40.000 richieste e in Venezuela si fissano oggi appuntamenti per il 2010; analoghe difficoltà si riscontrano in Uruguay, Brasile e, in particolare, in altri paesi dell’America Latina. Anche i dati relativi agli altri paesi dell’area attestano un’attenzione sempre più diretta a questo legame giuridico con l’Italia, dettata congiuntamente sia da motivi ideali che da interessi concreti: abbiamo visto che i giovani dell’America Latina si assicurano così l’ingresso nell’Unione Europea. Ne conseguono interminabili liste d’attesa e una mole di lavoro che i consolati non sembrano in grado di smaltire in tempi realistici, anche perché il personale a disposizione è al di sotto degli organici.

Nell’AIRE quasi la metà degli iscritti per acquisizione della cittadinanza italiana (42,6%, ovvero 34.471 persone) si sono registrati nel corso degli ultimi 5 anni, secondo la seguente ripartizione: quasi la metà nel continente americano (48,9%, di cui il 35,5% nell’America Latina) e l’altra metà in Europa (44,6%). Si tratta in maggioranza di donne (57,8%) e, in quasi tre quarti dei casi (circa 60.000), di ultraquarantenni.

 

L’auspicata riforma della legge 91/1992 dovrebbe riaprire i termini per il riacquisto automatico della cittadinanza italiana da parte di chi l’ha perduta in seguito alla migrazione (termini chiusi il 31 dicembre 1997) estendendo questa possibilità anche ai figli maggiorenni e dovrebbe riconoscere la cittadinanza alle donne italiane coniugate con un cittadino straniero anteriormente al 1 gennaio 1948 e ai loro figli nati precedentemente alla stessa data.

Grave in tutta l’America Latina, ma anche nel Nord del continente americano e in diversi altri paesi di emigrazione, è la situazione reddituale e sociale e il problema della salute dei nostri connazionali, diventati anziani e sprovvisti di assistenza sanitaria e di risorse, tanto che, dall’Italia, sono stati avviati diversi progetti di  collaborazione con ospedali locali e i Consolati, per salvaguardare l’efficacia e l’aspetto economico, stipulano accordi con diverse strutture sanitarie, spesso costituite in origine dagli stessi emigrati.

Le somme destinate all’assistenza degli italiani all’estero sono molto ridotte e, comunque, inferiori alle entrate registrate per i diritti consolari, e ciò costituisce un problema notevole a fronte di una richiesta che diventerà sempre più pressante. Per questo è stata riproposta in Parlamento l’istituzione di un assegno di solidarietà che, con uno stanziamento tutto sommato contenuto e sottoposto a limiti di reddito, consentirebbe una concreta presa in carico di questa situazione.

 

L’inadeguatezza della copertura si ripropone anche sul versante previdenziale, perché non tutti hanno maturato il diritto alla pensione oppure molti riscuotono una pensione insufficiente al loro sostentamento. Le 756.000 pensioni maturate in regime internazionale, per buona parte pagate all’estero (352.000), mentre 404.000 sono i beneficiari tornati in Italia. All’estero vengono pagate anche altre 58.000 pensioni maturate in base ai soli contributi previdenziali italiani. In pratica 1 ogni 8 italiani residenti all’estero è pensionato. L’importo medio annuo di queste pensioni è di 3.000 euro per beneficiario, 254 euro al mese (circa la metà della pensione minima). All’inizio degli anni ’90 l’importo medio annuo era di 4.000 euro, ma poi i cordoni della borsa sono stati chiusi e dal 1992 nei paesi dell’Ue non può essere più esportata l’integrazione al minimo, come anche la base di calcolo della pensione (pensione virtuale) non può avvalersi più di tale integrazione.

 

Come risaputo, le pratiche di natura legale, previdenziale o di altro tipo, risultano estremamente complicate per gli emigrati. Per la tutela di queste prassi si adoperano gli istituti di patronato, ormai presenti in 24 paesi, con grande capacità di intervento e notevole preparazione professionale: in occasione della campagna “Red Est”, lanciata dall’INPS nel 2003 per accertare la sussistenza del diritto alla pensione, i patronati si sono occupati di 190.000 dei 200.000 formulari ritornati all’Inps.

 

Molto sentito è, poi, il tema della partecipazione che coinvolge a diversi livelli: dai COMITES al Consiglio Generale degli Italiani all’Estero (CGIE), dalle consultazioni referendarie a quelle politiche in Italia. Strettamente funzionale alla partecipazione è l’utilizzo della stampa, unitamente agli altri mezzi di informazione, così come assolutamente fondamentale è l’associazionismo, il più efficace collante in grado di evitare che la presenza all’estero diventi una realtà atomizzata.

Oggi, questa realtà ha trovato nuovo impulso a seguito del protagonismo delle regioni.

La stampa italiana all’estero è una rete che comprende 400 testate tra periodici cartacei,

agenzie e notiziari online: 56 sono le testate edite in Italia (44 periodici e 12 agenzie e notiziari online). Le agenzie di informazione trattano per il 50% informazione di ritorno, mentre la percentuale di riferimento è più ridotta nei periodici (30%). Le provvidenze per la stampa italiana all’estero sono regolate dalla legge 416/1981, che eroga 2 milioni di euro l’anno per sostenere 160 testate.

 

La partecipazione politica è stata sancita con la legge del 2001 ed esercitata, per la prima volta, alle votazioni di aprile 2006, che hanno portato all’elezione di 18 parlamentari della Circoscrizione Estero (12 deputati e 6 senatori), una componente molto importante negli equilibri parlamentari.

In questa prima consultazione politica è stata elevata la percentuale dei votanti, nonostante si siano verificati diversi inconvenienti sul piano logistico-amministrativo. Su 2.700.000 plichi elettorali spediti ad altrettanti aventi diritto, ne sono stati riconsegnati 1.135.617 (42%), mentre 247 mila sono stati restituiti ai Consolati in larga maggioranza per errore di indirizzo o irreperibilità del destinatario e circa il 2,3% del totale è stato restituito oltre il termine consentito.

 

Si può ritenere che con questa nuova esperienza sia stata intrapresa una via di non ritorno, destinata a legare più strettamente italiani in Italia ed emigrati italiani all’estero.

 

(DAL RAPPORTO MIGRANTES – marzo 2007)

 

Fonte: www.italiaestera.net

 

Articolo inviato da

Antonella De Bonis

Portale dei Lombardi nel Mondo

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