Una nuova collettività — Lombardi nel Mondo

Una nuova collettività

Marco Basti per il nuovo numero di “Tribuna italiana”, settimanale che dirige a Buenos Aires, riflette sull’impegno dei giovani nelle associazioni portando ad esempio il Cava che nei giorni scorsi ha festeggiato il suo anniversario

“Nel 1972, in un articolo sul “Corriere degli Italiani” che allora dirigeva, Mario Basti avvertiva che, essendosi fermato dieci anni prima il flusso migratorio italiano verso l’Argentina, e non essendoci prospettive di ripresa degli espatri dall’Italia verso il Plata, la collettività italiana in questo Paese era destinata a sparire man mano che, per ragioni anagrafiche, non ci fossero più emigrati italiani”.

 

Inizia così l’editoriale scritto da Marco Basti per il nuovo numero della “Tribuna italiana”, settimanale che dirige a Buenos Aires, in cui riflette sull’impegno dei giovani nelle associazioni portando ad esempio il Cava che nei giorni scorsi ha festeggiato il suo anniversario.

 

“Infatti, già allora era cambiato molto il mondo e le situazioni dell’Italia e dell’Argentina non erano più le stesse che avevano portato milioni di italiani ad attraversare l’Atlantico verso il Plata, durante oltre un secolo, in cerca di una vita migliore. Un flusso che aveva assicurato condizioni di vita migliori a tanti emigrati e che aveva aiutato l’Italia a superare le difficoltà, anche gravi provocate da un eccesso di popolazione alla quale non poteva assicurare in certi periodi condizioni di vita dignitose.

Flusso positivo anche per l’Argentina, alla quale l’emigrazione italiana aveva assicurato un contributo determinante di intelligenza, di creatività, di conoscenze tecniche e di manodopera qualificata, decisiva perché ci fosse un Paese diverso, molto al di sopra per livello di vita, di cultura, di benessere, di tutti gli altri paesi dell’area.

 

Arrestatosi quel flusso, il compianto Mario Basti avvertiva che bisognava pensare al futuro della collettività, a cosa fare per assicurare che l’enorme eredità di opere materiali e morali non si disperdesse. Dieci anni più tardi, in un fondo su questa “Tribuna” che aveva fondato cinque anni prima, il dott. Basti avvertiva che bisognava aprire le porte ai giovani perché altrimenti in dieci anni la collettività italiana sarebbe sparita. Da allora ha sempre ribadito quella necessità di trapasso alle nuove generazioni, posizione sulla quale si é impegnata anche la struttura dell’Associazionismo, a cominciare dal suo vertice, la FEDITALIA, e a seguire da tante Federazioni.

 

Un esempio di tale rinnovamento lo si é visto sabato sera, durante la cena dell’anniversario del Comitato delle Associazioni Venete dell’Argentina, alla Trevisana. Sono giovani il presidente e quasi tutti i membri del Direttivo.

 

Sono giovani molti tra dirigenti delle associazioni federate. Ma la presenza di tanti dirigenti tutti figli o nipoti di emigrati, nati in Argentina, é frutto di una politica promossa da “vecchi”, dai genitori e nonni che capirono la necessità di spalancare le porte alle nuove generazioni.

 

A ribadirlo c’erano Luigi Pallaro e Ricardo Merlo. Pallaro, veneto anche lui, instancabile promotore del cambiamento all’interno delle nostre associazioni, sempre entusiasta nel spiegare che la vecchia collettività ormai è un ricordo, che al suo posto ci sono le nuove generazioni fatte da argentini che devono impegnarsi per il paese natio cioè l’Argentina, ma che hanno il vantaggio e la possibilità di stabilire rapporti economici e culturali profondi con l’Italia, con vantaggiose ricadute per i due Paesi. L’altro, Ricardo Merlo, che del CAVA é stato presidente, é lui stesso l’esempio di quella predica iniziata nei primi anni ‘70.

É figlio di italiani, ha lavorato nelle associazioni e da presidente del CAVA ha saputo assicurare rapporti importanti con la Regione, così come ha promosso la partecipazione nella Federazione di altri dirigenti giovani.

 

Il CAVA non è l’unico esempio. Ci sono varie altre federazioni che si sono aperte, totalmente o almeno parzialmente alle nuove generazioni. Come è il caso della Federazione Calabrese, o dei friulani, o dei trentini o dei pugliesi. Cambiamenti che ci sono stati anche in varie federazioni circoscrizionali e, in molti casi ancora, nelle stesse associazioni, specialmente in tante dell’interno dell’Argentina.

 

Purtroppo a volte non ci accorgiamo che in buona parte il cambiamento si è già verificato e che buona parte della realtà della nostra comunità oggi è fatta dalle nuove generazioni. Manca, questo sì, un progetto comune, una comune consapevolezza, una comune riscoperta delle nostre radici, intese non soltanto come conoscenza della cultura italiana, ma anche di quella che è stata l’opera degli italiani in Argentina, ancora oggi fondamentale da scoprire, se si vuole capire il Paese.

 

C’è una nuova collettività, in realtà una numerosa comunità argentina di origine italiana, che non ha ancora consapevolezza di sé, i cui contorni non sono ancora chiari, che deve ancora svilupparsi per cogliere tutte le sue potenzialità. Ma comunque gli avvertimenti e i consigli di tanti anni fa, dei dirigenti di allora, sono stati recepiti. C’è una nuova collettività”.

 

Fonte: (aise)

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