Un complesso equilibrio di poteri : Fidel e Raul Castro — Lombardi nel Mondo

Un complesso equilibrio di poteri : Fidel e Raul Castro

Cuba è un’isola fascinosa, dove non sempre ciò che si vede è quello che si deve vedere, e dove le parole ufficiali non sempre significano quello che uno dovrebbe capire, a cominciare dal fatto che Fidel dice di aver lasciato all’”hermanito” la direzione dell’isola e però si tiene ben stretto il controllo del partito-regime, di Mimmo Candito

Ma chi comanda oggi all’Avana? E quante Cuba ci sono a Cuba?

Un regime impegnato in una difficile transizione

 

 

Ma, insomma, chi comanda a Cuba, oggi? E’ Raùl Castro, che fa il Presidente in carica, avvia timide riforme,  e lancia segnali di fumo verso gli Usa, come Tex Willer faceva con  i suoi Navajos quando doveva chiedere un aiuto?

 

Oppure è Fidel, che comunque continua a fare sempre il padrone del pc cubano e dice, sprezzante, immutabile, che Obama  e  l’imperialismo yanqui hanno il naso di Pinocchio? Dunque chi, dei due fratelli, il giovane di 79 anni? o il vecchio di 84?

 

Cuba è un’isola fascinosa, dove non sempre ciò che si vede è quello che si deve vedere, e dove le parole ufficiali non sempre significano quello che uno dovrebbe capire, a cominciare dal fatto che Fidel dice di aver lasciato all’”hermanito” la direzione dell’isola e però si tiene ben stretto il controllo del partito-regime. Se l’ha fatto, pur dal letto di morte, un  buon motivo certamente ce l’avrà. I militari, che è il campo dove Raùl si trova tra i suoi, sono la spina dorsale del potere di Cuba, però il partito è la guida della Revoluciòn e il motore di ogni concreta decisione. Cuba ha due anime, dunque, ma anche due società, quella (la gran maggioranza) che aspetta una fine che prima o poi verrà e quella (una minoranza) che ancora ci crede e sfila in corteo nel Dìa de la Patria cantando Che e Fidel. C’è da pensare che possa avere anche due poteri.

 

Se domenica scorsa, al plenum dell’Assemblea Nazionale, la poltrona che sta alla destra del Presidente – e che nel cerimoniale spetta al Segretario del partito comunista – era rimasta vuota, eppure era un plenum molto importante, con l’annuncio di  profonde riforme, quasi alla stessa ora e in un’altra sala l’illustre assente dal plenum stava invece intrattenendo uno stuolo scelto di ascoltatori con la lettura di alcune pagine della sua voluminosa autobiografia, fresca ancora di stampa e con un titolo che dice già tutto: “La vittoria strategica”.

 

Però non la vittoria sui dannati yanquis e sul loro imperialismo vorace, no, soltanto il lento ripasso delle vecchie pagine della Storia: la vittoria dei barbudos sulla Sierra contro i fantaccini spauriti del dittatore Batista, in 869 fitte e corpose pagine che raccontano la guerriglia del 1958 e del ’59. Erano insomma  scavi dell’archeologia della Revoluciòn, sacra, imperiosa, e però vecchia un millennio rispetto a oggi; e così , sull’oggi si torna  a capirci poco. Fidel assicura che sta già scrivendo la continuazione delle sue memorie, un altro migliaio di pagine fitte e corpose vergate a quattro mani con la biografa ufficiale Katiuska Blanco e che arriveranno fino ai nostri giorni; usciranno presto, con 50 mila copie da offrire al pubblico di casa. E però, intanto, mentre aspettiamo, chi comanda a Cuba, oggi?

 

Misteri della magia incantatora del Caribe. Ma anche misteri fino a un certo punto, perché Fidel in queste ultime settimane ha compiuto ben 8 comparsate in pubblico, con una striscia di presenze quanto meno sconcertanti dopo i quasi 4 anni di silenzio monastico e di rare foto dalla cameretta d’ospedale dov’era stato ricoverato e operato. Ci troviamo, come a lui ovviamente compete, davanti a una autentica resurrezione, tale da far pensare che il Lìder Màximo  stia ripiombando a piedi giunti nel teatro del potere assoluto, se non fosse però che queste riapparizioni sono avvenute sempre con un inusuale risparmio di folle osannanti, e dunque o davanti alle telecamere, nel silenzio morbido di uno studio di registrazione, oppure in “palcoscenici” marginali, limitati, con poco pubblico e senza la cortigiana mobilitazione di regime. Soprattutto, sono riapparizioni che mai hanno messo insieme i due fratelli, quasi per impedire che il mistero del Caribe (Ma chi comanda, a Cuba?) potesse venire svelato dalla gerarchia che inevitabilmente si sarebbe dovuta stabilire tra le due illustri presenze.

 

Mistero per mistero, si potrebbe anche pensare a un abile gioco delle parti tra due leader che hanno un comune obiettivo – la conservazione del potere, o se si preferisce: l’evoluzione controllata del regime – e però devono modulare le loro strategie d’intervento accordandole con le mutazioni di una crisi che pare già imporgli la “fin de regne”. E se di evoluzione controllata si parla, appare allora   coerente  la decisione che domenica Raùl ha comunicato all’Assemblea nazionale, di voler “aggiornare il sistema economico che regge l’isola”. E’ solo un aggiornamento, nelle intenzioni, non un mutamento radicale, nel senso che “se pur lo Stato deve fare un passo indietro, il socialismo viene sempre prima, e poi il mercato”. E dunque, dismissioni di almeno un dipendente pubblico su 5 (ma a Cuba, fino all’annuncio di Raùl, il 95 per cento dei lavoratori erano impiegati dello Stato) e poi allargamento delle concessioni di attività autonome, con il passaggio agli artigiani delle loro botteghe, dalle quali lo Stato prenderà un piccolo affitto. Era cominciata a gennaio, questa apertura al “mercato”, con la privatizzazione delle barberie; ora si allunga il passo.

 

“Ma è solo un aggiornamento”, rassicura, e si rassicura, il ministro dell’Economia, Molino. Sarà come dice lui, resta che il comunismo tropicale va perdendo le sue piume una alla volta, e rischia di trovarsi nudo. I segnali di Tex Willer, i suoi Navajos li vedevano sempre, e accorrevano a salvarlo, anche se all’ultimo minuto; chissà se da Washington saprà arrivare una risposta coerente. Il malumore e il disagio sono ormai penetrati fin nelle forze armate cubane; qualcuno dice che in autunno ci sarà uno showdown. A Cuba, un tempo si diceva “Socialismo o muerte”; oggi si dice “Aggiornamento o muerte”, e si lanciano segnali verso il Nord.

 

Fonte: www.lastampa.it

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