Ultima parte de “I canti della filanda”, sulla produzione serica comasca — Lombardi nel Mondo

Ultima parte de “I canti della filanda”, sulla produzione serica comasca

Narrazioni di vicende, tra ‘700 e ‘800, legate alla produzione serica comasca tratte dai documenti d’archivio e canti tradizionali di svago e di protesta del mondo della filanda

GA N’AVRI’ MAI BEN

di Lucia Ronchetti

Lecco, 1861 dal fascicolo processuale 446/1861 per “appiccato incendio e furto in danno di Giosué Dell’Oro…”

Il danno cagionato dall’incendio che distrusse interamente uno dei primi stabilimenti serici di Lombardia, non avuto riguardo alla seta rimasta in preda alle fiamme di cui se ne ignora la quantità, ascende in via di approssimazione ad italiane £ 200,000 (duecento mille) e fu gran ventura che la notte dell’incendio trascorresse tranquilla che, se agitata dal vento come le altre a lei vicine, chi sa quante maggiori sciagure si avrebbero a deplorare.

Eppure quella sera Adamo Brenna, di anni 33, detto Domino, filatore in seta, era tacitamente felice e gioiva della disperazione del padrone.

Il Brenna era di statura media, corporatura complessa, capelli castano scuri un po’ mancanti sul cranio, fronte media, naso piuttosto lungo aquilino, bocca media, viso largo e tondo, mento quadrato, barba e baffi rasi nascenti, colorito pallido brunasto. Quando lo videro allontanarsi dal luogo dell’incendio, vestiva una giacchetta di panno verdone scuro, col bavaro e le maniche dal gomito in giù di panno verde ma di colore più vivo, calzoni di fustagno color ulivo logori, gilet simile, camicia di cottone a quadretti bianchi-bleu, scarpe dette papuzze di pelle nera, cappello di panno nero logoro a tese larghe. Sorpreso da un testimone faceva finta per tirarsi su i pantaloni fingendo così di essere stato a fare i suoi bisogni, ma in verità si ignora da dove venisse e per qual ragione.

Fu sempre ritenuto per un cattivo originale sotto ogni rapporto, poco dedito al lavoro e vendicativo. All’età di 19 anni percosse a pugni e calci il direttore di un filatojo sito in Asso, con ingiunzione di non farne parola altrimenti lo avrebbe ucciso. Essendo stato colpito dalla leva sotto il passato governo, partiva dalla sua patria senza che nessuno compiangesse la sua sorte e dopo otto anni, terminata la sua ferma, fece ritorno. Prese in moglie Rosa Pozzi e fece due figli, un terzo, in gestazione alla data del fatto in questione, era già di cinque mesi.

Aveva in odio il filatoio Dell’Oro, ove lavorava, il padrone lo aveva avvisato che era sua intenzione licenziare tutti i filatori che non avessero ragazze da far lavorare nell’incannatojo e che, di conseguenza, il Brenna avrebbe dovuto cercarsi un altro posto per il prossimo Novel, che è la stagione del nuovo raccolto di bozzoli. Corse voce che il Brenna siasi espresso, alludendo al suo licenziamento dal lavoro, che cessando egli, sarebbero cessati tutti (El sarà minga anca stà lù, ina quella casa che el ghavea semper in bocca, veni trà per aria tutt, quand finirò mi de taccà su i cò [cioè i capi della seta], finirann anch’ialter), ma non si poterono raccogliere dati per istabilire la sussistenza di tali espressioni.

E così anche il consesso criminale non poté trovare prove sufficienti per incriminarlo e ordinò che si dovesse cessare dall’inquisizione in confronto di Adamo Brenna in ordine agli imputatigli reati.

Ma allora a chi si deve imputare la colpa del disastro? Quando venne fatto di sgombrare dalle roventi macerie taluno degli ambienti, si trovarono alcune membra combuste appena riconoscibili di due corpi umani e queste donne di nome Mazzoleni Lucia e Masnatti Marianna di S. Omobono sembra siano rimaste vittima della fiamme per la rapidità colla quale divamparono e forse per essersi trovate sopite in profondo sonno. E noi che per ventura andavamo a casa tutte le sere per dormire e abbiamo ancora salva la vita, non abbiamo più un posto dove lavorare perché lo stabilimento è andato completamente combusto nel rogo.

Dicono che siamo state fortunate a non essere bruciate, ma l’è minga vera perché adesso siamo senza lavoro, il padrone dice che ha perso tutto e la paga non ce la può dare.

Anche se non siamo crepate ‘n del fen come quelle poverette, noi povere filandere ga n’avrì mai ben!

 

VA IN FILANDA LAURA BEN

 

Va in filanda laura ben

che l’assistenta l’assistenta

va in filanda laura ben

che l’assistenta la mi vuol ben

la mi vuol ben fino a un certu segn

e poi dopo e poi dopo

la mi vuol ben fino a un cert segn

e poi dopo la ciapa ‘l legn

la ciapa ‘l legn me la dà ‘n sui spal

oia mee oia mee

la ciapa ‘l legn me la dà ‘n sui spal

oia me che la mi fa mal.

QUANDO SENTO IL PRIMO FISCHIO

 

Quando sento il primo fischio

il mio sangue comincia a tremar

e se sbaglio una sola volta

mè la multa mi tocca pagar.

E la multa che noi paghiamo

l’è la mancia dei direttor

loro fuman le sigarette

sempre ai spall dei lavorator…

 

IL FISCHIO CHE POTEVA SALVAR LA VITA

di Lucia Ronchetti

Mesenzana (Varese), 1859 dal fascicolo processuale 184/1859 per “delitto contro la sicurezza della vita”

“Sono Lucia Zuretti, detta della Bustina, perché mia madre si chiama Agostina, di anni 18, nubile, nativa ed abitante in Mesenzana, filatrice della seta nello stabilimento Douconville, cattolica, illetterata, senza imputazioni penali. Immagino di esser stata chiamata in questo Tribunale per dover essere sentita sulla disgrazia occorsa al giovanotto Martino Sartorio.

Ricordo bene che era lunedì 11 ottobre 1859, verso le 5 ore di mattina, io era arrivata allo stabilimento assieme al Sartorio che trovai a caso durante la via.

Era ancora buio perché si comincia presto, alle cinque in ottobre, prima ancora in estate, e quelli che pervengono dai paesi vicini entrano senza chiamata nel filatojo appena lo trovano aperto. Quelle, invece, che dormono nello stabilimento vengono ordinariamente svegliate e chiamate al lavoro dal direttore con il FISCHIO.

La porta di ingresso era già aperta, ed entrati nel cortile, passavamo con altri che si trovavano colà, nel corridoio che mette allo stanzone del filatojo. Io non posi mente e non so dire se il signor direttore passasse in quel momento o fosse già entrato nel filatojo.

E’ però cosa di fatto che io andai avanti assieme al Sartorio, e giunto all’uscio del filatoio lo trovai aperto, e viddi che erano entrati altri lavoranti. Non mi accorsi che fossero accesi lumi nel filatojo, perché era oscuro, pel che senz’altro io mi diressi in fondo all’ultima fila ove soglio lavorare. Il Sartorio quando fu avanti alcuni passi, passò dall’altra parte del filatojo attraversando una fila e perciò lo perdetti di vista.

Erano pochi istanti che mi trovava al mio posto, allorché udii gridare disperatamente al Sartorio

“AJUTO, SON MORTO, FERMÉE, AJUTO!”

In quel momento comparvero dei lumi, ed io non saprei precisare se fossero stati accesi nel filatojo od altrimenti, pel che venuta in suso, entrai nella quinta fila, ed a metà della medesima ove esiste una bottola, che era aperta non so per qual motivo, viddi caduto nella medesima ed avviluppato il Sartorio nel sottoposto ordigno idraulico, la cui cassa di coperto trovavasi da un lato sul limitare della buca.

Spaventata da quello spettacolo, uscii senz’altro dal filatojo ed andai a casa mia in Mesenzana, dacché non mi trovava più in grado di prestare la mia opera per quel giorno, appunto pel motivo del sopportato spavento.

Quando io sortiva, vari erano accorsi in ajuto del Sartorio, ma per me ignoro cosa sia accaduto, e solo nel giorno appresso intesi che venisse a stento levato da quell’ordigno idraulico, gravemente offeso ad una coscia.”

Sin da subito si riconobbe la gravità del fatto.

Le lesioni rimarcate erano gravi e pericolose.

La ferita fu descritta delle dimensioni di centimetri 38 in lunghezza e in centimetri 17 in larghezza, la muscolatura e i tendini erano messi a nudo, orribilmente stracciati e triturati fino alla profondità di oltre un pollice.

Ricoverato all’ospedale di Luino, dopo sette mesi di agonia, Martino Sertorio, DI ANNI 15, morì a cagione dall’ampia suppurazione della piaga rilevata alla coscia destra e dal generale assorbimento del pus da parte di detta piaga.

Il direttore dello stabilimento Giuseppe Stucchi, di anni 28, nato ad Oggiono, ma dimorante nello stabilimento Douconville, fu incriminato come responsabile dell’aver lasciata aperta la bottola, nella quale il poveretto era caduto. La speciale inquisizione concluse nel ritenere che l’incidente conseguì all’aver lasciata aperta la porta dello stabilimento, situazione che consentì al Sartorio di entrare prima del fischio che fissa l’inizio della giornata di lavoro. Entrato nel filatojo senza lume, lo sfortunato giovinetto, senza avvedersi del pericolo, era precipitato nella buca, provocandosi la ferita di cui sopra.

Il direttore dello stabilimento, in quanto colui che aveva lasciata la bottola aperta, compensò il padre del ragazzo con 350 fiorini e di tale somma il genitore si dichiarò soddisfatto.

Con successiva sentenza, lo Stucchi fu dichiarato colpevole del delitto contro la sicurezza della vita e “condannato”, ma questa è una condanna?, a DIECI GIORNI di arresti domiciliari.

E forse, per aver salva la vita, sarebbe bastato che il Martino attendesse il fischio della filanda, quello che ora, ancor più di prima, mi fa morire di spavento e mi fa tremar.

 

ANDAVA ALLA FILANDA A LAVORARE

 

Andava alla filanda a lavorare

per guadagnarsi il pane col sudore,

l’ho vista ieri sera a far l’amore.

Andava alla filanda a lavorare

per guadagnarsi il pane col sudore,

l’ho vista ieri sera a far l’amore

in compagnia dei marinai.

La g’ha la bicicletta lunga e stretta

ghe passa l’urtulan con la caretta

l’ho vista ieri sera andà in barchetta

l’ho vista ieri sera andà in barchetta.

La g’ha la bicicletta lunga e stretta

ghe passa l’urtulan con la caretta

l’ho vista ieri sera andà in barchetta

in compagnia dei marinai.

E aveva gli occhi neri, neri, neri,

sembrava un bambino appena nato

l’ho vista ieri sera e l’ho baciata

l’ho vista ieri sera e l’ho baciata.

E aveva gli occhi neri, neri, neri,

sembrava un bambino appena nato

l’ho vista ieri sera e l’ho baciata

in compagnia dei marinai.

 

SUN MARIDADA PREST

 

Sun maridada prest

per na pù in filanda

sun maridada prest

per na pù in filanda

sun maridada prest

per na pù in filanda

e adess che gh’ho marì

vo in filanda nott e dì.

Sun maridada prest

per pù mangiar polenta

sun maridada prest

per pù mangiar polenta

sun maridada prest

per pù mangiar polenta

e adess che gh’ho marì

l’è polenta tutt i dì.

Sun maridada prest

per na’ in lett insemma,

sun maridada prest

per na’ in lett insemma

sun maridada prest

per na’ in lett insemma

e adess che gh’ho marì

dormi semper de per mì.

Sun maridada prest

per na pù in filanda

sun maridada prest

per na pù in filanda

sun maridada prest

per na pù in filanda

e adess che gh’ho marì

vo in filanda nott e dì.

E adess che gh’ho marì

vo in filanda nott e dì.

 

SCIUR PADRUN CUN LA BURSA DE DRÉ

 

Sciur padrun cun la bursa de dré

che ‘l me daga i dané che ‘l me daga i dané

sciur padrun cun la bursa de dré

che ‘l me daga i dané che u guadegnà

specia ‘nco vott specia ‘nco vott

ché i daro a tut on bott

e nu i voruma ades e nu i voruma ades

Marietta cara Marietta cara

e nu i voruma ades e nu i voruma ades

Marietta cara gh’è po’ l’interes

gl’interes in l’à gia fa

el me daga i dané che um guadagnà

gl’interes in l’à gia fa

che ‘l me daga i dané che um guadegnà

SON PASSATA DA GARLATE

Son passata da Garlate

e ho visto le filandere

che sembravano prigioniere

con la faccia da ospitàl

chi vuol scoltare scolti

non staga alle finestre

noi siamo le foreste

siam padrone di canta

evviva qui che canta

e martur qui che sculta

stan lì con vert la buca

spetà che vegnan giò

con la faccia da ospitale

come cani alla catena

non è questa la maniera

di tenerci a lavorar

chi vuol scoltare scolti …

evviva qui che canta …

a cantare ghe dém fastidi

a parlare sém tutt vilani

terneremo alle montagne

torneremo ai nostri pais

chi vuol scoltare scolti …

evviva qui che canta …

 

O CARA LA MIA MAMMA

 

“O cara la mia mamma

si senza cumpassion;

lasciarmi qui in filanda morir de la passiun”

“O se fudèss el caso,

te tegneria a cà;

te mandaria a scoeula

a imprend a lavorà”

“Inscì perché son povera

me podi fach niènt;

stà pur alegrament

‘ stu mund el finirà.

Stà pur alegrament

‘ stu mund el finirà.

 

OH MAMMA MIA TEGNIM A CA’

 

Oh mamma mia tegnim a ca’

Oh mamma mia tegnila a ca’

Oh mamma mia tegnim a ca’

E mi in filanda,

e mi in filanda, mi voeui pu ‘na.

E lee in filanda,

e lee in filanda la voeur pu ‘na… (2 volte)

Me doeur i pèe me doeur i man,

Ghe doeur i pèe, ghe doeur i man,

Me doeur I pèe me doeur I man,

E la filanda

E la filanda l’è di villan.

L’è di villan per lavorà,

l’è di villan per lavorà,

l’è di villan per lavorà.

L’è di villan

E l’lè minga di por cristian.

Vegn giò ‘l senton, fermà ‘l rondon,

vegn giò ‘l senton, fermà ‘l rondon

vegn giò ‘l senton, fermà ‘l rondon,

e la filanda

e la filanda l’è ‘na preson.

L’è ‘na preson de presonè,

L’è ‘na preson de presonè,

L’è ‘na preson de presonè, e mi in filanda

E mi in filanda son stufa assèe

E lee…

La, la, la, la, la, la, la, la

Oh mamma mia tegnim a ca’

Oh mamma mia tegnila a ca’

Oh mamma mia tegnim a ca’

E mi in filanda,

e mi in filanda, mi voeui pu ‘na.

E lee in filanda,

e lee in filanda la voeur pu ‘na…

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