Riflessioni sulla vittoria di Trump — Lombardi nel Mondo

Riflessioni sulla vittoria di Trump

Negli Stati Uniti ha vinto un signorone, un po’ avanti d’età, 70 anni, con oltre 100 chili di peso, il colesterolo alle stelle, il nido d’uccello in testa e che capisce poco o nulla di politica

Aveva ragione Trump: l’elezione del presidente Usa ha le stigmate pari pari del referendum sulla Brexit (i due eventi che nel 2016 hanno cambiato la storia). Se travasiamo gli elettori della Gran Bretagna in Usa, e viceversa, scopriremo lo stesso “prodotto”. Migrazione e crisi economica fanno questo. Il premio Nobel Paul Krugman, sul suo blog, sul NYT, ha scritto un post dove dice che “probabilmente non conosciamo il nostro Paese”. La pancia contro la testa. Il ceto medio basso contro le oligarchie.

Noi abbiamo sempre sostenuto che Donald Trump, non conveniva, per diverse ragioni, liquidarlo come una carnevalata (ridicolizzato anche da Obama nel 2011).

Voto di pancia. Il palazzinaro americano ha interpretato il sentiment, profondo, dei suoi concittadini. Ha detto il conosciuto politologo Luttwak: “Voto Trump come tutti gli analfabeti, gli xenofobi, i misogini“. Sbagliando tanti di noi hanno commentato i candidati alla presidenza, con gli occhi europei, un po’ snob. Ma a tanti americani interessa poco o nulla delle opinioni del vecchio continente. Come gli interessa poco o nulla di un presidente cosiddetto “presentabile” e perfettino.

Si sono affidati a Trump perché non è un politico, fa due o tre promesse chiare, fa una difesa basica di quei principi (Dio-patria-famiglia) cari agli abitanti d’oltreoceano, ripropone il primato degli States sul mondo, trova qualche nemico (immigrati e vari) da scalzare e chiude il cerchio. Certo sentire Trump, il potenziale comandante in capo della prima superpotenza, sparlare di politica internazionale ci fa sentire tutti meno sicuri. Però, qui, vince il format della comparazione.

Se i risultati, per molti americani, di Obama&Co. sono quelli odierni allora vale la pena tentare con il tycoon. D’altronde le classi dirigenti nascono e rinascono così, soprattutto dai fallimenti di chi c’era prima. Vale anche per l’Europa e per i movimenti nazionalisti che stanno prendendo piede nei vari paesi.

L’inconcludenza e l’incapacità di trovare soluzioni lascia campo aperto ai competitor. Chi immaginava che al ministero degli esteri della Gran Bretagna approdasse quelBoris Johnson che ha definito la Clinton una infermiera sadica? Il linguaggio non è espressione di alta finesse, meraviglia noi, ma chi ha votato Boris no. Insomma si scavalla, si da poca importanza, si va al sodo: parla come mangi.

Anche qui valgono gli esempi in uso fino a oggi: se il risultato dei ministri degli esteri precedenti è quello che c’è in saccoccia allora evviva Boris Johnson. Se volete è anche una rivolta contro un ceto intellettuale che è da sempre classe dirigente politica. Viene meno quella cinghia di trasmissione tradizionale che è stata espressione di liturgie, ritualità, modi di fare, spesso coperture di incapacità, inettitudine, pressapochismo, élite (quelle economiche e finanziarie) e casta (quella dei giornalisti, per esempio, che mai si era sperticata in dichiarazioni di voto a favore di un candidato presidenziale, in questo caso la Clinton).

Le scelte di Trump. Trump si inserisce a pieno titolo in questa gigantesca falla. Poi quando siederà nello studio ovale della White House state certi che i toni coloriti si smusseranno, molte delle promesse barricadere andranno nel cestino.

La differenza con Reagan è la solitudine di Trump: non ha dietro il partito repubblicano, non si conoscono i consiglieri di politica economica, consiglieri di politica estera, tanto da far venire il dubbio che deciderà tutto da solo. Impossibile nella complessità dello status quotidiano del presidente della più grande potenza al mondo. Di certo muri non si faranno, di certo la Clinton non andrà in galera, di certo la voragine del bilancio federale non potrà ampliarsi per pagare salari più alti, di certo non potrà mettere una sola aliquota fiscale.

Trump e l’Europa. È vero che nel risultato statunitense c’è molto del referendum sulla Brexit. È la rivolta delle classi popolari che su due temi, immigrazione e economia, si rivolta contro le élite tradizionali abbracciando il primo urlatore che passa per strada, salvo poi, ed è il caso inglese, accorgersi di aver fatto un errore macroscopico, salvo poi manifestare l’ignoranza rispetto al tema sul quale erano stati chiamati a votare.

Il monito degli Stati Uniti per l’Europa non è nuovo. Con migranti e austerity vincono i nazionalismi senza vittorie stravolgenti ma sicuramente il fiume è in cammino e il letto del fiume si ingrossa sempre di più. Staremo a vedere la politica estera e quella economica di Trump rispetto l’Ue. Di certo se la politica sarà quella del protezionismo, con la chiusura progressiva delle frontiere rispetto i prodotti provenienti dall’estero, alla povera economia europea arriverà una botta non indifferente.

Ma a occhio nudo il primo leader che ci rimette platealmente di fronte all’elezione di Trump è Matteo Renzi. Con l’abbraccio di Obama aveva stretto una alleanza alla luce del sole, una sponda per contrastare la politica dell’austerità dell’Europa (che era stretta pure agli States). Ora Renzi è solo e la vittoria del Sì al referendum costituzionale del 4 dicembre diventa obbligatorio soprattutto per contrastare i diktat europei.

È vero che comunque in Europa qualcosa deve cambiare in particolare con le due elezioni importanti che si avranno nel 2017: in Germania e in Francia (Marine Le Pen si è congratulata con Trump: se per il centrodestra si candida Sarkozy, immagine usurata come la Clinton, vince a mani basse la Le Pen. Diverso risultato se si candida Alain Juppé).

Trump e l’Italia. E in Italia cosa succede? L’Italia è impreparata alla vittoria di Trump non solo per i motivi sopra descritti ma perché nel centrodestra non c’è una figura paragonabile a Trump e soprattutto agli italiani (oltre 70%) piaceva Hillary (questo ci fa capire anche il limite oltre il quale un fenomeno come quello di Trump può andare).

Berlusconi che è il fratello gemello senza capelli di Trump è ormai privo di fascino e di appeal. Salvini non andrà oltre i comuni della valsugana, rimane Briatore, lo suggeriamo agli amici del centrodestra, l’unico che può raccogliere l’eredità di Trump e Silvio messi insieme. D’altronde Briatore e Trump sono grandi amici già da quella trasmissione The Apprentice, sei dentro-sei fuori, che selezionava novelli business-man nostrani.

Ora ci viene solo da dire: ne vedremo delle belle.

Maurizio Guandalini

Fonte: www.huffingtonpost.it

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