Water Project – seconda parte — Lombardi nel Mondo

Water Project – seconda parte

la seconda parte dell’esperienza di Ferruccio Brambilla e del suo gruppo, in missione come volontari in Papua Nuova Guinea

Con i cinque bergamaschi e Vico di Caronno Pertusella, inizio il viaggio aereo.
La fortuna inaspettata che ho avuto modo di descrivere nel racconto “il ciclone Jane” del volo Johannesburg-Madrid, sembra non abbandonarmi. Sull’aereo diretto a Singapore mi ritrovo infatti con le due più belle ragazze del volo sedute alla mia sinistra nella fila 33. (vedi foto)
Katrin e Meola, due splendide modelle australiane innamorate di una certa bevanda che consumano in abbondanza. La mia curiosità mi spinge a chiedere loro di cosa si tratta e scopro così l’esistenza dell’apple juice (succo di mela corretto vodka).
Dopo poco, mentre il personale di bordo abbassa le tendine degli oblò, nel tipico dormiveglia che si consuma nella stanca luce dei voli intercontinentali, decido di andare a trovare gli altri amici alla fila 27 e da lì, pensando di far cosa gradita alle mie nuove compagne di viaggio, chiedo altri due apple juice al personale di bordo, poi torno a sedere di nuovo al mio posto per godermi la loro sorpresa. Trascorre un po’ di tempo ma niente apple juice… richiedo ad una hostess che mi garantisce di averli preparati e portati, ma dal momento che le due amiche non li hanno mai ricevuti me ne farà portare altri due, anzi tre. Passa un altro quarto d’ora ma niente. Richiedo ed ottengo la medesima assicurazione, già preparati e serviti. Così mi alzo, vado in coda all’aereo e parlo stavolta con uno stewart che sostiene di averli preparati personalmente (?). Ottengo comunque la promessa di altri tre cocktail, ma vai!!!
Qualche minuto più tardi mi raggiunge Baldino alla fila 33 per dirmi di non mandare più aplle juice perchè altrimenti finisce che si ubriacano tutti..
E’ successo che il personale di bordo, che mi aveva visto seduto al posto libero della fila 27 quando ero stato a parlare con Baldino, ha sempre pensato che il mio posto fosse quello e così apple juice a volontà, inesorabilmente spediti agli amici del Gruppo Africa.
Con le due amiche rimaste a bocca asciutta atterriamo a Singapore.
Durante il successivo volo mi accordo con Baldino che al rientro ci si dovrà rivedere per perfezionare il perfezionabile in termini di convenzioni aeree ed altri aspetti della associazione, volontari inclusi.  

Arrivo a Port Moresby capitale della PNG con pochissimo tempo a disposizione per il transito, assolutamente insufficiente per ritiro bagagli, passaggio sotto ben tre diversi nastri, immigrazione e primo cambio valuta per tutti (1200 euro = 3306 Kina). Ad assisterci accorrono due angeli mandati dalla vicina missione Pime, che ci permettono di prendere al volo il tremolante bimotore Air Niughini ad eliche con destinazione Alotau.

Ad Alotau i giorni in attesa della barca si susseguono rapidi, sotto il diluvio che imperversa nei paraggi della casa di brother Mario Fardin che ci ospita. La mitica “morning star”, la barca che solitamente traghetta gli aborigeni sugli sperduti villaggi dell’isola di Goodenough è in cantiere perchè durante l’ultimo viaggio ha imbarcato acqua e adesso siamo in balia dei servizi pubblici di Alotau, assolutamente inaffidabili. Un giorno dopo l’altro succede di tutto, imprevisti a non finire fino alla decisione finale di svuotare i quattro container a mano e di caricare tutto il materiale su di una chiatta, operazione che si è potuta realizzare grazie al prezioso contributo di una cinquantina di indigeni accorsi in nostro aiuto.
Poi ci dividiamo. Baldino, Giovanmaria, Giusy e Vico partono subito con una barca mentre, con Ennio e Lucio io viaggerò domani sulla chiatta in compagnia del materiale.

Il nome della barca è J-Rolau ed i nostri eroi si accomodano al suo interno, sedendosi sul bordo della stiva. Niente sedili o altro. Come se non bastasse la precaria sistemazione, al momento della partenza un fiume di gente prende letteralmente d’assalto la barca, che carica all’inverosimile riesce tuttavia a stare a galla. Sulla J-Rolau i nostri amici sono stipati come su di un tram quando diventa regno di palpeggiatori manomorta e borseggiatori manolesta, ma mi sono anche tornati in mente i poveri barconi che arrivano sulle coste di Lampedusa, l’immagine è la stessa. In questo stato l’imbarcazione resa ormai informe a causa delle teste ammassate che il tramonto rosso Africa ne delinea i contorni si mette in moto e, dondolando paurosamente prende il largo a fatica. La scia lasciata a pelo d’acqua fa pensare al percorso tracciato da un ubriaco in bicicletta. Niente fazzoletti sventolanti quindi, solo l’intesa che ci saremmo incontrati a Ulutuya la sera del giorno dopo.
Durante la cena da Mario ricevo un sms dei nostri amici che, scherzosamente penso io, scrivono: “la barca prende fuoco, torniamo a riva!!!”
Da Chez Mario non ci si scompone e prosegue la cena, ma dopo circa un’ora arriva una telefonata perentoria “siamo al porto, venite a prenderci!”. Tutt’altro che uno scherzo quindi… C’è stato un principio d’incendio al tubo di scarico, che qualche cervello illuminato aveva rivestito con del materiale infiammabile e il buon Vico si era già attivato calando un secchio per raccogliere acqua. Dalle loro facce capisco che lo spavento è stato forte e nessuno ha avuto il coraggio di pensare cosa sarebbe successo se fosse capitato qualche ora più tardi, in pieno oceano.

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