Un augurio vero — Lombardi nel Mondo

Un augurio vero

“Ma, allora, i re magi siamo noi!” esclamano sempre orgogliosi i nostri emigrati italiani, appena terminata la messa. Venire da lontano, trovarsi perduto, condividere ciò che si ha di più caro o di prezioso, ammirare la vita in qualcosa di povero o di essenziale incontrato. Infine, essere un re nel proprio paese e ridursi a nomade nella terra degli altri… Renato Zilio, missionario a Londra, autore, tra l’altro, di “Dio attende alla frontiera”, ci spiega in termini forse inconsueti il valore dell’Epifania.

Tanti auguri o stupende cartoline in questi giorni, arrivate dall’Italia e dalla Francia, mi hanno rallegrato e inquietato, allo stesso tempo.
L’augurio è sempre qualcosa di bello e di grande che accompagna un avvenimento, lo rende esplicito, lo fa particolare, accompagnando il nostro stesso modo di viverlo. Dall’Italia arrivavano auguri dipinti con la tavolozza della nostra sensibilità estetica: frasi dal registro poetico ampio, arioso, astratto, un po’ retorico. Dalla Francia, invece, un augurio sempre accompagnato da qualche riga veloce su ciò che il mittente ultimamente ha vissuto: occasione di una rapida e amichevole condivisione.
Per la nostra terra italiana – un mondo diventato prosaico e duro da vivere – un’oasi di poesia forse si rivela benefica. Tuttavia, il mondo inglese in cui sono immerso – un popolo di mare attento ai dettagli e alla loro concretezza – mi rende più sensibile a qualcosa di “ancorato alla realtà”. Non tanto all’astrattezza della poesia che inebria e si inserisce nella vita come una parentesi.
Vi trovavo, così, l’augurio di pace e di serenità, grandi valori che scendono quasi dal cielo, come la stella cometa sulla grotta. Nessuno, invece, si chinava per raccogliere da una vita diventata ormai una sfida un augurio di coraggio, di fiducia o di speranza da ritrovare. Una unità o una solidarietà da rinsaldare. Un augurio vero, insomma, che ossigeni e incoraggi.
Il Natale, d’altronde, contiene una vera rivoluzione copernicana della religione cristiana. Una originalità assoluta nel campo delle religioni. Dio non è solo apparso fuggitivamente, ma si è rivestito del corpo stesso dell’uomo, per viverne intensamente e interamente l’esistenza. Mistero dell’incarnazione. Una sacralità inverosimile del corpo umano viene qui esaltata e grida vendetta di fronte a nostri modi abituali di comportamento. Occasione speciale per un augurio coraggioso.
Trovandomi, quest’estate, nel Maghreb chiedevo a dei giovani musulmani perchè le donne si vestono così tanto da far affiorare, a volte, solo due bei occhi neri. La loro risposta fu una domanda impertinente, ma seria: “E perchè la vostra cultura cristiana le espone in pubblico svestite o nude come animali?” Proveniente dall’islam – dove non esiste la sacralità del corpo umano e del mistero dell’amore – l’interrogativo mi coglieva di sorpresa. Per noi, questo è uno dei messaggi capitali del Natale, il suo augurio più vero: il corpo umano santificato. Se si guarda a partire dall’altra sponda del Mediterraneo la decadenza del senso sacro nella nostra corporeità appare flagrante. Basti ricordare l’ultima stagione politica italiana, la leggerezza al riguardo e la sorprendente imperturbabilità di tanti. Essenziale è leggere il mistero di Dio con gli occhi puntati sulla realtà vissuta, la cui distanza, a volte, da quello è infinita.
Un altro augurio, un altro mistero è l’Epifania. Suggerisce la forza straordinaria del messaggio di condivisione vissuto da stranieri. “Ma, allora, i re magi siamo noi!” esclamano sempre orgogliosi i nostri emigrati italiani, appena terminata la messa. Come per una rivelazione improvvisa, traducono in termini quotidiani, spiccioli, con personaggi nostrani la dinamica dei re magi. Venire da lontano, trovarsi perduto, condividere ciò che si ha di più caro o di prezioso, ammirare la vita in qualcosa di povero o di essenziale incontrato. Infine, essere un re nel proprio paese e ridursi a nomade nella terra degli altri…

I nostri emigranti italiani all’estero, è vero, sono dei re magi in carne e ossa per questa terra straniera, travestiti tuttavia da pastori: quante umiliazioni agli inizi! “È stata la nostra guerra di resistenza”, commenta Umberto, sulla settantina, con un mezzo sorriso da vecchio combattente. “Quando incontri un uomo lo giudichi dai vestiti, quando te ne separi lo giudichi dal cuore!”, recita qui un vecchio proverbio; infatti, all’addio di un emigrante, alla sua messa di funerale, sono tanti i volti inglesi che compaiono d’incanto in chiesa. Hanno capito che essi hanno condiviso qui la loro giovinezza, i loro figli, le energie migliori, grandi qualità morali e un bel pezzo di vita. Tesori aperti e condivisi con un popolo all’inizio sconosciuto: il Paese è cresciuto con loro e attraverso di loro. Hanno fatto cose prodigiose umilmente con tenacia e pazienza; la loro preghiera migliore sarà il Magnificat, il canto dell’umiltà e del prodigio.

“Ma se ne accorgono in patria i nostri italiani?” a volte si domandano, pensando a chi vive oggi la loro stessa sorte di emigranti di un tempo. La risposta è incerta. Ciononostante, l’Epifania è la loro festa. Ma anche l’augurio più vero agli italiani rimasti laggiù: il senso del condividere.

Renato Zilio, missionario a Londra*

*Autore di “Dio attende alla frontiera” EMI 2012 ( Pref. Abate di Montecassino )

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